Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2005
Durata:46 min.
Etichetta:Relapse
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. WHERE THE WAVE BROKE
  2. SEVER
  3. THE IMMATERIA
  4. SLAVE EMOTION
  5. FLIGHT’S END
  6. HOMEBOUND
  7. IT COMES INTO VIEW
  8. STORMWIELDER
  9. MERCY LIBERATION

Line up

  • Linus Jagerskog: vocals
  • Jonas Rydberg: guitar
  • Robert Reinholdz: guitar
  • Jesper Liverod: bass
  • Patrik Hultin: drums

Voto medio utenti

La Relapse propone per l’ennesima volta una formazione di “confine”, nel senso di un gruppo che sviluppa un discorso heavy complesso, ostico, trasversale, ricco di caratteristiche eterogenee che spaziano dall’hardcore al metal estremo alle aperture ambientali, una contaminazione di stili tanto affascinante quanto difficilmente catalogabile.
La band in questione è quella degli svedesi Burst, che si erano messi in luce con il precedente lavoro “Prey of life” ed ora intendono confermare e consolidare gli eccellenti giudizi ottenuti dalla critica.
Immediato l’accostamento all’area che comprende nomi come Neurosis, Isis, Jesu, ecc, per via di uno stile elaborato, eclettico, ricco di sperimentazione, nonché per l’atmosfera perennemente plumbea e carica di pathos drammatico che i fans del genere non faticheranno a riconoscere.
Pur pagando qualche dazio in fatto di derivativismo, gli scandinavi evidenziano buone doti nella scrittura dei brani e nella ricerca di soluzioni fantasiose, sovente ottenute usando sia il pugno di ferro che il guanto di velluto.
L’album si apre con uno degli episodi più duri e sofferti, dedicato alla memoria di Miesko Talarczyk (Nasum) vittima della tragedia tsunami, omaggio voluto in specie dal bassista Liverod che è stato compagno dello sfortunato musicista.
L’essenza del Burst-sound emerge negli episodi più estesi, sempre ben giocati sul filo del contrasto tra esplosioni muscolari e rarefazioni ambientali/atmosferiche, con punte estreme che vanno dalla raggelante violenza metalcore di “Slave emotion” alle fasi eteree del magnifico strumentale “It comes into view”, incanto sospeso tra accenni Floydiani e sottili vibrazioni latine. L’obbiettivo principale del gruppo è comunque la coesistenza delle varie influenze all’interno di un flusso unitario, amalgama che genera i percorsi ambiziosi e tormentati di “Sever”, “The immateria”, dell’esaltante intensità di “Flight’s end”, nei quali confluiscono brutali stralci metal e divagazioni space, elementi acustici e pesantezza ultra-heavy, sussurri e noise, contorti incubi industriali e riflessioni malinconiche, una formula certamente non nuova ma brillantemente interpretata dagli scandinavi con diversi sprazzi di altissima qualità, non ultima la monolitica schizofrenia stilistica di “Mercy liberation”.
Un lavoro di ottimo spessore agli antipodi della banalità semplicistica di tante produzioni contemporanee, profondo ed elaborato come si conviene a chi intende muoversi in questi territori difficili ma gratificanti. I Burst hanno idee e personalità ed appaiono come una formazione in chiaro progresso, con “Origo” mettono a segno il loro colpo per ora migliore ma in futuro potrebbero sorprenderci ancora.

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