Bisogna essere dei presuntuosi o degli sconsiderati per dichiarare apertamente che il proprio nuovo progetto musicale nasce ispirandosi a un monumento dell’
AOR del calibro dei The Storm, un gruppo che riuscì, assieme a pochi altri, a rendere meno “travagliata” l’esistenza degli
chic-rockers negli anni novanta.
A ben pensarci, però, un annuncio programmatico tanto impegnativo può offrire anche un’altra chiave di lettura … quella di un
team di musicisti di comprovato talento, classe e perizia, che vive ancora il suo “lavoro” con trasporto vero e totalizzante e non si preoccupa troppo di alimentare in maniera esplicita inaccessibili paragoni perché prima di tutto adora quello che fa e ha un’innata esigenza “fisica” di esternare la sua incontenibile passione per certi suoni.
Credo sinceramente che la scelta dei
Raintimes debba essere giudicata in quest’ottica (magari con l’aggiunta di un pizzico di salutare “follia” …), dacché i suoi componenti hanno già fornito ampia prova delle loro qualità e del loro carisma, e “
Raintimes” non suona per nulla come un meschino tentativo d’imitazione di un mito (sottovalutato) del settore.
Pierpaolo “Zorro” Monti (Charming Grace, Shining Line, Room Experience, …),
Davide Barbieri (Wheels of Fire, Charming Grace),
Michael Shotton (Von Groove, Hardline, Airtime, L.R.S.),
Sven Larsson (Street Talk e una marea di collaborazioni di livello),
Ivan Gonzalez (91 Suite, Room Experience, Secret) e
Andrea Gipponi (Room Experience) hanno un
curriculum tale da rassicurare ogni appassionato del genere e se hanno deciso di prendersi un “rischio” di questo tipo è solo perché sapevano di poter riportare in auge le atmosfere di “
The storm” e “
Eye of the storm” (soprattutto di quest’ultimo) senza scadere nel manierismo.
Il disco conferma fin dal primo ascolto questa consapevolezza …
Shotton ha un suo trademark fonatorio e una grana vocale abbastanza diversa da quella di
Kevin Chalfant (e del suo modello
Steve Perry …) e nel programma non ci sono richiami oltremodo evidenti a Journey e Bad English (una cosa che i The Storm, forti della loro “storia”, si potevano permettere …), mentre a essere conservato è il clima sognante e raffinato della
band di riferimento, declinato attraverso la personalità di una formazione (supportata dalla consueta pletora di ospiti illustri) capace di trasformare l’ammirazione in proficua consistenza espressiva.
“
Forever gone” è un atto d’apertura che accarezza l’anima, “
Make my day” sgorga dalle casse come puro linimento “adulto” e “
Don’t ever give up” è una zampata che graffia i sensi e s’instaura istantaneamente nella memoria.
Una copiosa produzione di brividi romantici è assicurata da un congegno sonoro denominato “
Swan”, l’elevato
CX emotivo di “
I need tonight” garantisce un potenziale “radiofonico” enorme e, dopo il suggestivo intermezzo strumentale della
title-track, "
Just a little bit more”, pur piacevole, mostra qualche accenno di soverchia prevedibilità.
Tocca a “
Empty days”, uno
slow notturno e malinconico di notevole efficacia, risollevare prontamente le sorti della raccolta, seguito da un’ariosa "
Together as friends”, rinfrancante come un panorama montano in una giornata tersa, dalla bella melodia di "
Missing piece” e da “
I see the light”, una ballata dallo sviluppo armonico assai rigoroso e tuttavia altrettanto adescante.
Difficile, di fronte a tanta emozionante opulenza, trovare l’anfratto in cui collocare una piccola “opportunità di miglioramento”, eppure devo ammettere che avrei gradito un pizzico di grinta supplementare … sono convinto che, senza “tradire” i suoi presupposti artistici fondamentali, avrebbe giovato all’efficacia complessiva dell’opera.
Ciò detto, non rimane che congedarmi rivolgendo ai
Raintimes un ringraziamento … per aver realizzato un album eccellente, degno dei suoi ispiratori e in grado altresì di riportare l’attenzione del pubblico su uno dei grandi interpreti, spesso dimenticati, di quell’immarcescibile meraviglia sonica chiamata
Adult Oriented Rock.