Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2017
Durata:49 min.
Etichetta:Metal Blade
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. M.I.A.
  2. MOLTEN CORE
  3. OVEREXPOSURE
  4. THE TALISMAN
  5. LULLABY OF VENGEANCE
  6. CIRCLE OF ASHES
  7. REBORN
  8. CONSPIRACY OF THE GODS
  9. ANOTHER KILLING SPREE
  10. BROKEN DIALECT
  11. RISE OF REBELLION

Line up

  • Matthew Bachand: bass
  • Shawn Drover: drums
  • Chris Broderick: guitars
  • Henry Derek Bonner: vocals

Voto medio utenti

Rieccoli alla riscossa i due fuoriusciti, con le maniere forti o buone è dato sapere fino a un certo punto, Chris e Shawn che a due anni di distanza dal discreto debutto “Birth and the Burial” tentano di aggiustare la mira con l’odierno “Old Scars, New Wounds”, come sempre uscito sotto l’egida di quell’istituzione che di nome fa Metal Blade.

In realtà a livello di direzione musicale non ci siamo mossi più di tanto, e questo potrebbe essere un bene. Non sappiamo bene precisamente il perché, ma un thrash metal classic old school non lo vediamo propriamente benissimo nelle mani degli Act of Defiance, senza dubbio più a loro agio con un thrash moderno, contaminato da echi di melometalcore e death, ruffiano certamente, quando maggiormente indirizzato sul groove, quando più sulla velocità e la melodia, con i fulminanti solos (quelli davvero riconoscibili a 1km di distanza) del buon Broderick ed i grugniti del versatile Henry Derek, a suo agio sia nel timbro sporco sia quando prova a cantare pulito, risultando in ogni caso interessante e performante. Il problema del disco, che poi è il problema della band tutto sommato, è che non si sa di che morte vogliano morire e “Old Scars, New Wounds” sembra un bel melting pot di idee.

Bel, perché in ogni caso la formazione statunitense suona benissimo, la produzione ad opera di Dave Otero è eccellente e sentire Broderick sciorinare così le sue note è sempre un piacere, ma l’alternanza continua di momenti classic con altri estremi, poi di nuovo HM, poi sfuriate vicine al melodeath… insomma, un andirivieni di emozioni e non sempre positive. Poiché – nuovamente – l’alternanza di un songwriting non sempre all’altezza torna a farsi sentire e, quel che è più grave, gli Act of Defiance sembrano avere i maggiori problemi con “le basi del mestiere”, ovvero i riffs portanti dei brani più canonicamente thrash, dove sembrano i Testament dei poveri. Molto poveri.

Molto, molto meglio quando le briglie vengono sciolte e si hanno brani come “Reborn” che dimostra tutto il potenziale del gruppo americano, sin dal bravo Derek, ma allora se i brani ed i momenti thrash sono i peggiori di una band che si dichiara fiera portatrice del thrash metal….forse c’è qualcosa che non va. Insomma, gli Act of Defiance rimangono in un limbo che non accontenta pienamente nessuno, crediamo sarebbe meglio in primis per loro stessi che si dedichino a sonorità più moderne e consone alla loro voglia di fare musica (chi ha detto Trivium?) piuttosto che rincorrere un’audience più canonica con composizioni fin troppo ordinarie per musicisti della loro esperienza.
Recensione a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

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