Spesso l'ambizione supera i reali mezzi a disposizione
(lo sa bene il sottoscritto dopo il qui presente maldestro tentativo di video monografico sui Dream Theater, ndr). Nel caso dei tedeschi
Rebellion, però, questa determinazione ha più i tratti dell'atto masochistico, quasi a non voler ammettere che dopo 15 anni - e dopo 7 album in studio piuttosto altalenanti - forse c'è un motivo se il "volo" non è stato ancora spiccato.
Coerente fino al midollo, il quintetto dell'ex-Grave Digger
Tomi Göttlich si cimenta ancora una volta con un testo shakesperiano (era già accaduto con l'esordio) e lo fa con la sola buona volontà, caratteristica necessaria ma non sufficiente a rendere
"A Tragedy In Steel Part II: Shakespeare's King Lear" un album riuscito.
La scrittura - a dir poco scolastica - rimanda a band quali Virgin Steele (
"Thankless Child", "Storm And Tempest", "Battle Song") e Rage (
"Dowerless Daughter", "Blood Against Blood"). Una spruzzata di hard rock (
"Stand Up For Bastards", "Demons Of Madness") e le sfumature progressive (le tastiere di
"Black Is The World" o i richiami ai Queensrÿche di
"Truth Shall Prevail") non bastano a risollevare le sorti di un full-length che finisce nel peggiore dei modi con la noiosissima
"Farewell", maltrattata da un altrettanto noiosissimo
Michael Seifert, frontman che di fatto non canta mai ma che si limita a declamare parole - nel modo più aggressivo possibile - manco fosse un attore di teatro
(di Peavy ce n'è uno, come lui non c'è nessuno, ndr).
Un album che farà la gioia di qualche
defender rimasto agli Anni Ottanta, ma non la mia.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?