Terza fatica discografica sulla lunga distanza per i
Vanish, formazione dedita a un
power-prog metal molto “classico” e assai accurato, come da tipica tradizione teutonica.
Notevole padronanza degli strumenti, un certo buongusto melodico e una voce di valore, non bastano, però, a svincolare completamente il quintetto di Stoccarda dal pantano del “già sentito”, sulla scia di gruppi come Ivanhoe, Secrecy, Circus Maximus, Lanfear o i nostrani Eldritch.
“
The insanity abstract” si rivela, così, un albo tutto sommato godibile, che non possiede i requisiti necessari per distinguersi in maniera perentoria, ma che al contempo si lascia ascoltare abbastanza agevolmente, riuscendo a destare l’attenzione soprattutto nei brani maggiormente articolati (l’evocativa
suite in tre parti “
Slipstream” e l’epilogo dell’opera “
When the mind bursts”, probabilmente il
best-in-class dell’intera raccolta) o quando la laringe del bravo
Bastian Rose riesce a imprimere grinta e
pathos supplementare a composizioni ben ideate (“
The pale king”, la melodrammatica ed enfatica “
Lilith cries”) pur nella loro pressoché assoluta “prevedibilità”.
A meno di una sorta di
ballad sinfonica piuttosto apatica (“
We become what we are”), il resto del programma si assesta su livelli più che dignitosi e tuttavia in tutta franchezza non credo che una prova di questo tenore sia sufficiente per assicurare alla
band quell’affermazione che insegue dal 2000.
Se amate il genere alla follia e non richiedete ai suoi propugnatori una particolare personalità espressiva, i
Vanish possono tranquillamente essere aggiunti con profitto alla lista dei vostri ascolti quotidiani, mentre ritengo che tutti gli altri possano passare oltre senza eccessive remore.
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