I
Monolithe sono dei veterani della scena doom metal, partiti ben 15 anni fa con un funeral doom metal, è proprio il caso di dirlo, monolitico, fatto di lunghe tracce della durata di decine di minuti (i primi quattro dischi), si sono poi man mano evoluti fino ad approdare al loro settimo album, il qui presente “
Nebula Septem”, composto di sette tracce, ognuna della durata esatta di sette minuti. Se a ciò aggiungete che la band è adesso composta da sette elementi avrete l’idea della devozione dei
Monolithe per questo numero.
Il nuovo disco, come dicevamo, ha ormai messo da parte le derive funeral è ha abbracciato tutto il resto, in una sorta di “summa maxima” del genere.
Ci troviamo di fronte ad un atmospheric death/doom metal, con atmosfere mai rarefatte, anzi, dense, riempite da una chitarra che non smette mai di disegnare trame spaziali (il concept è appunto relativo allo spazio), con l’uso dell’organo davvero importante e una verve progressiva che, anche grazie all’uso dei synths, rimanda direttamente agli anni ’70.
L’insieme del disco suona come una sorta di sinfonia perché le canzoni sono tutte articolate e ben strutturate e il cui ordine, altro elemento simbolico, va dalla lettera A alla lattera G.
La band non ha paura di osare e in pezzi come “
Delta Scuti” o “
Engineering The Rip” compaiono inserti di musica elettronica volti a simulare un certo rumorismo moderno che ben si sposa con il concept del disco.
Una delle caratteristiche principali del disco è il contrasto tra il profondo e claustrofobico growl del singer
Rèmi Brochard e gli assoli di
Sylvain Bègot, liquidi, aperti, dilatati, capaci di creare quelle atmosfere spaziali che sono uno degli elementi vincenti di questo disco.
I
Monolithe riescono a ritagliarsi uno spazio tutto personale nel panorama doom metal, con un disco che, pur nella difficoltà di amalgamare elementi apparentemente molto diversi tra loro, riesce a porsi come pietra di paragone per chi vuole fare sperimentazione in un genere, quale il doom, formalmente sempre uguale a se stesso, ma unico capace di reinventarsi e sopravvivere a tutte le mode sin dalla sua nascita negli anni ’70.
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