Considero i
Magnum un po’ alla stregua di un “vecchio amico”. Quello su cui puoi sempre contare, che difficilmente ti deluderà e del quale,
ahimè, qualche volta, ti dimentichi, distratto dall’affannosa ricerca d’inedite relazioni musicali.
Un “errore” che emerge a ogni nuova uscita e che mi costringe puntualmente ad attingere alla mia preziosa collezione e rispolverare i passi salienti di una carriera discografica che dal 1978 non ha in pratica mai avuto evidenti cedimenti.
“
Lost on the road to eternity” è l’ennesima (la ventesima in studio, per la cronaca) dimostrazione dell’innata efficacia del tipico suono dei britannici, un’elegante e personale mistura di
prog,
pomp,
hard e
AOR, dal dosaggio evolutosi nel tempo e mai “appassita” grazie alla tensione emozionale della voce di
Bob Catley, alla sensibilità e alla perizia della chitarra di
Tony Clarkin e a un
songwriting talmente ispirato da non temere in alcun modo fenomeni d’inesorabile ossidazione.
Al risultato contribuiscono poi anche
Al Barrow,
Lee Morris (Ten, Paradise Lost) e il tastierista
Rick Benton (a cui va un plauso particolare per la brillante prestazione), abilissimi nell’assecondare con spiccata attitudine i due storici
leader della
band, confezionando un albo dove ancora una volta si combinano in maniera impeccabile melodie cristalline, enfasi barocca e pulsante forza espressiva.
Impreziosita dallo splendido
artwork firmato
Rodney Matthews (un altro artista, nel suo campo, davvero inossidabile …), l’opera offre delizie di raffinata immediatezza
cardio-uditiva come “
Peaches and cream”, "
Storm baby” e "
Without love”, splendide composizioni maggiormente elaborate del calibro di "
Welcome to the cosmic cabaret” e “
King of the world” e frammenti di pura arte
Magnum-
esca intitolati “
Show me your hands” e “
Tell me what you’ve got to say”.
Il resto del programma, compresa una magniloquente
title-track a cui collabora fattivamente lo
special-guest Tobias Sammet, è un concentrato di classe e mestiere, forse leggermente meno intenso e tuttavia da inserire nel novero di quel “convenzionalismo di livello superiore” proprio di molti monumenti della storia del
rock.
Complessivamente siamo dunque di fronte a un altro disco di grande valore dei
Magnum, un gruppo invidiabile per coerenza e vitalità, che non merita di essere dato per “scontato”, e a cui, pur conservando la loro imprescindibile curiosità, tutti i
musicofili si devono rivolgere con entusiasmo ogni qualvolta desiderino cogliere il senso più autentico dei termini talento, stile e catalizzante suggestione emotiva.