Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2005
Durata:51 min.
Etichetta:Rise Above
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. SPY VS SPY
  2. THE ROOK
  3. HANGMAN
  4. STANDING AT THE EDGE OF THE WORLD
  5. REVENGE OF THE VIPER THREE
  6. A PHONE BOOTH IN THE MIDDLE OF NOWHERE
  7. THE MAN WHO NEVER WAS
  8. STINGRAY PART III
  9. MOMENTS OF SILENCE
  10. IMITATION OF CHRIST
  11. LAST CHANCE – GREMLINX

Line up

  • Steve Hennessey: vocals
  • Dan Moore: guitar
  • Keith Foley: bass
  • Kevin Dominic: drums

Voto medio utenti

A tre anni dal discreto “Synchronized” tornano alla ribalta i canadesi Sheavy, protagonisti fin dalla prima ora del magmatico movimento stoner.
Gli appassionati del settore conosceranno perfettamente le caratteristiche peculiari di questa formazione, anche perché sono sempre state di una chiarezza disarmante. Lo stile musicale è derivato direttamente dalla scuola Sabbathiana anni ’70, così emulativo al punto che in rete le canzoni degli Sheavy vengono spesso scambiate per fantomatici inediti dei colossi britannici, ed il vocalist Steve Hennessey è la copia perfetta del giovane Ozzy, tanto da essere stato contattato qualche anno fa nientemeno che da Tony Iommi per un progetto poi abortito.
Detto che si tratta di band consapevolmente derivativa, non si può però negare ai canadesi un’ottima capacità nello scrivere canzoni hard’n’heavy toste e convincenti. In particolare questo “Republic?”, quarto album della loro discografia, sembra più maturo ed ispirato dei precedenti grazie ad una buona coesione tra groove heavy, vocals anthemiche, giravolte ritmiche, svisate psycho-hard e tradizionali atmosfere proto-doom anni ’70.
Brani come “Spy vs spy” o la marziale “Hangman” si infiammano di quel torvo pulsare metallico che ricorda il miglior Osbourne solista, l’alternanza di riffs corrosivi di “The rook” e la potenza muscolare in “Revenge of the viper three” o “Imitation of Christ” ci riporta invece ai primordi dello stoner ed è sulla linea di Orange Goblin o di certe cose dei Cathedral, mentre i vertici dell’album sono raggiunti dalla sinistra rocciosità di “The man who never was” e soprattutto con l’ambiziosa “Standing at the edge of the world”, episodio caratterizzato da una complessità di soluzioni raramente emersa nel passato degli Sheavy.
Non è perciò improprio né esagerato vedere in queste canzoni una credibile ipotesi di ciò che i Black Sabbath avrebbero potuto comporre nei tempi moderni e ritengo questo il miglior complimento che si possa fare alla formazione canadese, la quale si avvantaggia anche di una produzione insolitamente pulita ed affilata del guru Billy Anderson, da tempo garante di alta qualità nel settore stoner-doom.
Un disco che ha i suoi pregi nell’efficacia e nella varietà dei riffs in funzione di canzoni ben strutturate anche sotto l’aspetto melodico e, pur non disdegnando aperture escapistiche, non soltanto per uno sterile ripetersi di giri stordenti e distorsioni acide.
Consigliato ai seguaci di un heavy rock/stoner robusto, dinamico, legato alla forma canzone ma senza nessuna rigidità e più di tutto ricco di ottimi brani, con la conferma che gli Sheavy sono ben al di sopra delle anonime clone-bands nelle quali spesso ci imbattiamo.

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