È stato coniato un termine letterario in grado di riassumere alla perfezione la proposta dei
Deeper Down: “
spleen”.
Quel sentimento in bilico tra mestizia, insoddisfazione e rimpianto, che fra ‘700 e ‘800 ha saputo suggerire straordinari versi poetici, lo ritroviamo qui, in “
The Last Dream Arms”, primo vagito discografico della compagine molisana.
Il
gothic/
doom dei Nostri, in effetti, non si abbevera alla nera fonte della rabbia primigenia, bensì attinge dall’opaco catino di un decadentismo romantico e suadente.
Ne scaturisce un sound pregno di eleganza, distante anni luce dalla tamarraggine (chiedo venia per il turpe vocabolo) di tanta musica pseudo-darkeggiante d’oggidì.
Fulgido esempio di tale approccio l’operato di
Alessandro al violino, che non si limita affatto a didascalici oneri di accompagnamento ma che, al contrario, assurge a ruolo di protagonista assoluto –anche in termini di missaggio-.
Altrettanto raffinata la gestione del dualismo tra
female e
male vocals: piuttosto che ricorrere all’ormai logoro stratagemma dell’alternanza tra fatati gorgheggi femminili e
growling maschile da orco cattivo, in “
The Last Dream Arms”
Giuseppe ed
Elisa agiscono spesso in contemporanea e sempre in
clean, infondendo così nelle linee vocali ragguardevoli dosi d’intensità emotiva.
Se soffermandovi su
monicker e coordinate stilistiche vi sono balenati in mente i nomi di
My Dying Bride e
Anathema… beh, non vi siete allontanati granché dalla verità. Ciò concesso, va comunque riconosciuta ai
Deeper Down una dose di personalità più che adeguata ad un album d’esordio; il tutto senza contare che, per quanto mi riguarda, ci sono influenze ben peggiori a cui ispirarsi –c’è chi ha scopiazzato i
Limp Bizkit, tanto per dirne una-.
Inquadrata la cornice sonora in cui ci muoviamo, resta ora da evidenziare la notevole qualità media delle composizioni (“
The Time Road” la mia preferita), tra l’altro arrangiate con buongusto (per capirsi: niente orchestrazioni ampollose o facili derive elettroniche), suonate più che egregiamente e prodotte con professionalità.
Un plauso, poi, alle linee di basso di
Roberto, capaci di donare ai brani (penso in particolar modo all’iniziale “
The Night Descends”) una profondità calda e avvolgente.
E se sospettate che le lodi discendano dal fatto che anche lui scrive per questo portale… avete ragione: mi è stata promessa una birra in caso di trattamento di favore.
Come ovvio si scherza: in realtà, l’integerrimo Collega ha preteso un trattamento brutalmente imparziale nel giudicare l’album, e proprio in virtù di ciò vado tosto ad enunciare gli aspetti a mio avviso ancora perfettibili:
- sarebbe opportuno accordare maggior peso specifico ad intrecci e melodie di chitarra, forse troppo nelle retrovie in questa occasione;
- alla progressione delle canzoni (sebbene sempre ben architettate e coerenti) gioverebbero strappi strumentali in grado di garantire qualche sussulto in più. La butto lì: un utilizzo meno parsimonioso delle parentesi acustiche e, per converso, delle appena accennate propensioni
death metal potrebbe accordare maggior dinamismo e, chissà, eventuali sbocchi evolutivi.
Insomma, un paio di limatine e i
Deeper Down saranno davvero pronti ad intraprendere una parabola inversa rispetto a quella discendente tracciata dal loro
monicker. Già con “
The Last Dream Arms”, ad ogni modo, ci troviamo di fronte ad una proposta di grande qualità, degna del massimo interesse per chiunque ami coltivare la propria vena malinconica e nostalgica.