Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2017
Durata:48 min.
Etichetta:Earthquake Terror Noise

Tracklist

  1. OMEGA VIRUS
  2. INFINITE COLLECTOR
  3. QUANTIC RUPTURE
  4. WAKING MARS
  5. GALAXY'S ECHOES
  6. PROPHET OF THE VOID
  7. HEXASPARK FORTRESS
  8. DEAD PLANETS THRONE
  9. THE STARFORGER

Line up

  • Danny Brunelli: vocals, bass
  • Leonardo Bellavista: guitars
  • Mattia Mornelli: drums

Voto medio utenti

La cosa bella di questo lavoro (chiamiamolo così, anche se per noi tutto è tranne che un lavoro vero, si sa…) è che ogni tanto ti possono ancora capitare delle piacevoli sorprese, come è stato per me quando mi sono imbattuto nei Vexovoid, band relativamente giovane, visto che si è formata nel 2013, con all’attivo due demo e un EP pubblicati tutti l’anno successivo a quello di nascita, e questo full length, di cui parleremo ora.

Perché parlo di piacevole sorpresa? Innanzitutto perché non ero a conoscenza dell’esistenza del gruppo, e secondo perché quando ho ascoltato “Call of the starforger” sono rimasto sbalordito del suo incredibile valore. E credetemi, mi capita raramente di spendere parole così positive per un esordio, ma fidatevi se vi dico che in questo caso sono assolutamente meritate.

Fin dal nome, dal titolo dell’album e da quello dei brani, è facile intuire che i nostri abbiano una propensione particolare nel trattare tematiche legate allo sci-fi e alla fantascienza in generale. Tra le loro influenze nominano i Voivod e i Vektor, ma ritengo che questo sia da attribuire essenzialmente al legame che hanno relativamente agli argomenti appena nominati. Dal punto di vista musicale, se escludiamo un approccio assolutamente libero da ogni restrizione, direi che i punti di riferimento sono ben altri, in quanto dei canadesi non hanno i riff strambi e le ritmiche storte, mentre degli americani gli manca l’irruenza. Nella loro bio i tre toscani parlano anche di prog, ma io escluderei anche questo, in quanto pur essendo ad alto tasso tecnico, il loro stile resta decisamente e marcatamente thrash metal. Se proprio dovessi sbilanciarmi potrei azzardare, come definizione, se ritenete sia così importante, techno thrash, questo si…

Ma la cosa bella di questo album è proprio che difficilmente riuscirete ad inquadrarlo in un solo genere, tanto validi e vari sono i brani che lo compongono. L’approccio è decisamente moderno, così come anche la produzione, e non sono pochi i richiami, soprattutto per il modo di cantare di Danny, alla scena death/thrash svedese, The Crown su tutti. E come vedete i tasselli aumentano di volta in volta… Vogliamo aggiungerne altri? Lo stile con cui sempre Danny suona il basso mi ha ricordato in più di un brano quello di Steve Di Giorgio, e quindi dei Sadus. La cosa bella, però, è che se è vero che qua e là riusciamo a sentire qualche influenza ben marcata, lo stile dei nostri al contempo è incredibilmente personale, tanto che, come scrivevo poc’anzi difficilmente riuscirete ad inquadrarlo.

L’album parte in quarta con la micidiale “Omega virus”, continua imperterrito con la più diretta “Infinite collector” e con “Quantic rupture”, che nasconde una doppia faccia, più oscura nella prima parte e più feroce nella seconda, per poi esplodere di nuovo con la tagliente “Waking Mars”. “Galaxy’s echoes”, con i suoi otto minuti di durata, è sicuramente il brano più complesso e impegnativo dell’album, che racchiude un po’ tutta l’essenza dei Vexovoid: violenza, atmosfera, tecnica, inventiva, il tutto amalgamato alla perfezione. Senza continuare con uno sterile track by track, vi dico solo che i restanti quattro brani sono assolutamente all’altezza di quanto descritto fin’ora, il disco non ha assolutamente cali, e se proprio devo, vi segnalerei, per concludere, proprio il pezzo finale, “The starforger”, che con i suoi sette minuti vari ed articolati pone nel migliore dei modi il sigillo ad un’opera prima veramente di gran valore. Se con l’esordio i Vexovoid sono riusciti a tirar fuori tutto questo ben di Dio, non oso immaginare cosa potranno combinare con il successore. Una band da tenere assolutamente d’occhio!
Recensione a cura di Roberto Alfieri

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