Non so perché, ma ci sono persone nate per fare determinate cose.
I
Drudkh sono nati per suonare Black Metal.
Oggi, come ieri, ci sono pochissimi altri in grado di eguagliarli in quanto a rabbia, orgoglio, passione e amore, viscerale, per la propria patria.
Forse sono gli inconfondibili intrecci di chitarra del genio di
Roman Sayenko, forse è l'inconfondibile voce di
Thurios così aspra e disperata, forse sono le stupefacenti atmosfere malinconiche ed epiche, forse tutte queste cose insieme, fatto sta che tutte le volte che premo il tasto play per un disco del gruppo ucraino il risultato è sempre e solo lo stesso: magia.
Magia che, ancora una volta, si respira nei solchi virtuali del nuovo
"Їм часто сниться капіж", undicesimo lavoro del gruppo, un album
Drudkh al 100%, inconfondibile, ricco di pathos, furioso nelle sue melodie "slavoniche", gelido e sgraziato ma poetico, di una poesia debitrice della propria tradizione (tutto il concept lirico deriva dal lavoro di poeti come Bohdan Ihor Antonych, Maik Yohansen, Vasyl' Bobyns’kyi e Pavlo Fylypovych) e dedicata, con forza maestosa, alla propria realtà.
I
Drudkh si confermano, per l'ennesima volta, maestri incontrastati del Pagan Black Metal ed ancora una volta ci invitano a seguirli, con la mente, nelle loro lunghe composizioni che, come in un viaggio notturno, ci condurranno direttamente attraverso la gelida steppa alla scoperta di un mondo lontano ma dannatamente affascinante e spietato.
Il mondo di cinque brani che sono cinque gioielli preziosi in cui vengono fusi sentimenti e passioni altissime per un risultato finale, e non poteva essere differente, magico.
Mi auguro che vogliate intraprendere questo straordinario viaggio
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