Volete avere un’idea di come si componga un album death/doom? Ascoltate “
Ossuarium silhouettes unhallowed”, ultima fatica degli
Hooded menace e prendete appunti con attenzione, perché qui c’è tutto quello che vi serve sapere!
45 minuti di musica senza la benché minima sbavatura. Durata perfetta, direi, per evitare il rischio di ammorbare l’ascoltatore, visto il genere sicuramente ostico. Soltanto sei i brani proposti, di cui quattro della durata media di 7 minuti, l’ultima “
Black moss” poco più di 2 minuti, e la lunga suite “
Sempiternal grotesqueries”, dieci minuti e mezzo sparati in faccia in apertura, decisamente una dichiarazione di intenti ben precisa, in quanto il pezzo racchiude un po’ tutto quello che ascolterete poi nei restanti brani.
Già, ma cosa vi aspetta se premete play e iniziate l’ascolto del dischetto ottico? Un perfetto ibrido di death svedese e doom britannico, il tutto rigorosamente anni ’90, quindi chitarroni pesanti come macigni che però sanno essere, al tempo stesso, delicati quando arriva il momento di tessere trame romantiche, un po’ sulla falsa riga dei primi lavori dei My Dying Bride. Il vocione growl di
Harri Kuokkanen, invece, ci accompagnerà per tutti e 45 i minuti, con un incedere catacombale ed evocativo contemporaneamente, mentre sarà una tale
Jem ad occuparsi dell’unico intervento in clean vocals, con un timbro molto delicato ed onirico. Immaginate che gli Asphyx decidano di comporre un album insieme ai già citati (vecchi) My Dying Bride e forse potrete avvicinarvi alle sonorità espresse in questo disco, il quinto in studio in undici anni di carriera, un ritmo davvero niente male per la band finlandese, e il primo sotto l’egida della
Season Of Mist.
Come già detto con l’opener “
Sempiternal grotesqueries” i nostri sparano subito la loro miglior cartuccia, ma non pensate che tutta la bellezza di questo disco sia racchiusa solo nei 10 minuti iniziali, in quanto il prosieguo è assolutamente all’altezza di quanto proposto in apertura. Si continua alla grande, infatti, con la doppietta “
In eerie deliverance”/“
Cathedral of labyrinthine darkness”, più andante la prima, decisamente più lenta e funerea la seconda. La tensione non scende con l’altrettanto pachidermica “
Cascade of ashes”, mentre con “
Charnel reflections” emerge prepotentemente il lato più doom e decadente, ed ecco tornare i richiami ai primi lavori della band di
Aaron Stainthorpe, rielaborati, però, sempre secondo lo stile del quintetto finlandese.
Come vi dicevo in apertura, nonostante lo stile di nicchia e la lunghezza dei brani, si giunge alla fine senza sentire il minimo peso, e quindi si arriva all’unico brano corto del lotto, i due minuti e mezzo di “
Black moss”, in realtà una sorta di outro strumentale che pone il sigillo ad un disco veramente pieno zeppo di ottimi spunti, ai quali si va ad aggiungere la bellissima copertina a cura di
Adam Burke, che mi ha fatto fare, al pari della musica proposta, un vero e proprio salto indietro negli anni ’90. Per completezza segnalo, infine, la presenza, come bonus track, di una strepitosa cover del capolavoro dei Celtic Frost
Sorrows of the moon, resa ancora più oscura e morbosa, per quanto possibile, dell’originale.