Ascolti il debutto eponimo dei
No Hot Ashes e ti domandi quanti gruppi di valore non sono riusciti, per miopia dell’industria discografica, scelte sbagliate o destino avverso, a raggiungere la meritata visibilità a beneficio, magari, di formazioni molto meno dotate, ma maggiormente favorite dalla sorte, scaltre o raccomandate.
Per fortuna esistono etichette “illuminate” che ci aiutano a scovare una
band come questa, nata nel lontano 1983, arrivata ad aprire i concerti di Mama’s Boys e Magnum, entrata nell’orbita della GWR Records (Motorhead, Girlschool, …) e ciononostante finora non andata oltre la pubblicazione di un unico singolo (“
She drives me crazy” del 1986).
Intravisti (e apprezzati) al
Frontiers Rock Festival III, i nord-irlandesi sfornano oggi un albo parecchio emozionante, equilibrato e maturo in tutti i suoi elementi espositivi, che s’ispirano ad autorità britanniche del calibro di FM (e non è un caso che il disco sia prodotto da
Merv Goldsworthy e
Pete Jupp), Strangeways, Airrace e Heartland e si sostentano in maniera assolutamente autonoma grazie ad una notevole perizia tecnica e a un innato buongusto nel
songwriting.
Eamon Nancarrow si rivela un vocalist di primo piano, capace di ammaliare l’astante grazie ad interpretazioni sempre assai competenti e coinvolgenti, le chitarre di
Niall Diver e
Davey Irvine graffiano e adescano, abilmente supportate dalle preziose tastiere
Tommy Dickson e da una sezione ritmica molto funzionale ed efficace, composta da
Steve Strange e da
Paul Boyd, purtroppo scomparso prima dell’uscita ufficiale di “
No not ashes” (ed è a lui che è dedicato l’albo).
Le canzoni scorrono agili e fresche, e se l’apertura della raccolta è affidata all’avvolgente e pastosa “
Come alive”, proseguendo nell’appagante fruizione dell’opera troverete anche i riverberi
country della vivace “
Good to look back”, le scosse
funky di “
Satisfied” e la malinconia della ballata “
Boulders”, intrisa di virile passione.
Subito dopo è necessario soffermarsi su “
I’m back”, una catartica dichiarazione d’intenti con le sembianze di un gioiellino di grande suggestione armonica, per poi passare alla pulsante “
Glow” e venire irrimediabilmente conquistati dal clima vagamente alla Dare di “
Over again”, impreziosita da un classicissimo passaggio di
twin-guitars.
La scanzonata e divertente “
Jonny Redhead” propone un’altra sfumatura espressiva del gruppo, che con la soffusa e intensa “
Souls” (
cover di
Rick Springfield) rende un esplicito omaggio agli
eighties e con la frizzante “
Running red lights” regala una bella sferzata di energia e positività, sigillando un programma che si ha immediatamente voglia di riascoltare.
Non rimane che plaudere la
Frontiers Music per la bellissima “(ri)scoperta” ed esortare il popolo del
rock melodico a sostenere senza ulteriori indugi i valorosi
No Hot Ashes, meritevoli di conseguire, finalmente, un adeguato e ampio riconoscimento.