Difficile, per un “bogianen” come il sottoscritto, da “qualche” tempo strenuo sostenitore del
rock melodico, nascondere l’enorme soddisfazione con cui mi appresto a introdurre al nostro
glorioso popolo di lettori gli
In-Side, eccellente propugnatore torinese del genere.
Per una volta vi risparmierò i sentimenti di rivalsa e di fiero “campanilismo” che mi pervadono ricordando i tempi in cui il mondo ci “snobbava”, e passerò direttamente a commentare i brillanti contenuti artistici di “
Out-side”, un esordio discografico che sorprende per la qualità e la maturità con cui i cinque piemontesi mescolano in maniera originale e sofisticata
AOR,
pop-rock e brandelli della
new-wave più “commerciale”.
Notevoli doti esecutive e una grande classe compositivo / interpretativa sostengono la
band nel rendere il prodotto fruibile e seducente senza incorrere in formule espositive oltremodo convenzionali, riuscendo, grazie ai maestosi arrangiamenti tastieristici, a un efficace contributo delle chitarre e a una voce parecchio comunicativa, a conquistare l’attenzione dal primo all’ultimo istante del programma.
Perdita di valori, una generazione confusa e sempre meno avvezza ai “veri” rapporti interpersonali, ma anche uno sguardo al passato per costruire il proprio futuro sono i temi trattati in una raccolta che schiude i suoi battenti con l’
intro magniloquente “
The gate”, per poi passare alle vibranti pulsazioni di “
The signs of time”, per le quali mi sento di tirare in ballo addirittura gli Elektradrive, anche con lo scopo di onorare la nobile scuola sabauda del settore.
Si continua con la suggestiva “
The running man”, che piacerà sicuramente ai
fans dei Work Of Art, mentre a “
Block 4 - The Russian woodpecker” assegno la palma di prima squassante
hit del disco, intrisa di un’emozionante atmosfera notturna edificata sugli irreprensibili insegnamenti di Toto, MTB e Simple Minds.
Con “
I’m not a machine”, una delizia sonica pilotata dall’ugola
Jim Kerr-iana di
Beppe Jago Careddu, prosegue l’operazione soggiogamento, che cresce d’intensità grazie alla straordinaria “
Break down” e a una pregevole “
Lie to me”, in cui l’evidente retaggio di marca Alan Parsons Project non mortifica l’ispirazione complessiva.
Cosa manca? Pochissimo, in realtà … forse solo un pizzico di ulteriore “istantaneità” nelle costruzioni armoniche e, nonostante la già palese destrezza espressiva, appena un po’ di quella sicurezza e risolutezza acquisibili in maniera “naturale” con l’esperienza collettiva … ho la netta impressione che per commentare il lavoro degli
In-Side occorrerà ben presto cercare parole ancora più eclatanti … per ora, mi “limito” a raccomandarvelo caldamente.
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