Piccola premessa di carattere personale: mi si può accusare –peraltro a ragione- di non capire una fava di
metal, ma non di essere un imberbe pischelletto perennemente teso alla spasmodica ricerca della nuova sensazione del nostro genere prediletto.
Tutto il contrario, semmai: da 25 anni ormai vivo e seguo questo mondo con indefessa passione, e sin dal primo giorno diffido delle (presunte) nuove sensazioni. Senza contare che nemmeno saprei come individuarle, visto che non utilizzo
Spotify,
Facebook,
Twitter,
forum online o altre amenità similari.
Applicando il concetto al caso contingente: l’ingombrante corollario extra-musicale che zavorra la compagine svedese m’interessa quanto un convegno sull’importanza della castità prematrimoniale organizzato dalla
Conferenza Episcopale Italiana (tanto per rimanere in tema clericale).
Nonostante i profili di affinità professionale ho seguito molto distrattamente la disputa legale tra il
mastermind Tobias Forge e gli ex
Nameless Ghouls; non mi sono curato affatto dei travestimenti e dei cambi d’identità del
Papa di turno (ad oggi se non erro declassato a cardinale, ma per l’appunto: chi se ne frega); parimenti, assisto con estremo distacco alle tediose diatribe circa la genuinità o meno del combo scandinavo.
Tutto ciò per un semplicissimo motivo: a me interessa la musica. E se parliamo di musica, a mio umile parere, i
Ghost temono pochi rivali nel panorama odierno.
Lo avevano già dimostrato in occasione degli esordi discografici, corroborando poi l’assunto in occasione del precedente
full “
Meliora” -che peccando di pusillanimità maltrattai in sede di recensione, affibbiandogli un voto ingeneroso a dir poco-; lo confermano una volta di più grazie al nuovo, fiammante “
Prequelle”, che si presenta da subito nel modo migliore grazie ad uno stupefacente
artwork di copertina e ad una produzione, manco a dirlo, stellare.
Non intendo girarci intorno: si discute di un'opera costruita a tavolino, spesso e volentieri smaccatamente
radio friendly (si dice ancora?), perlopiù accessibile in termini di struttura e durata dei brani, paracula oltre ogni limite, dalle mire quasi
arena rock… eppure dannatamente ben fatta.
Basterà la breve
intro “
Ashes”, reinterpretazione in chiave
retro-
horror della sinistra nenia per bambini “
Ring Around the Rosie”, a calamitare l’attenzione dell’ascoltatore, il cui cuore verrà poi trafitto dal singolone “
Rats”, che stempera la scioglievolezza del coretto malandrino con un
riffing di stampo classico insolitamente forzuto.
Altrettanto rocciosa, ma meno convincente, la successiva “
Faith”, dal
sound sabbathiano e dal
mood reminiscente della nota “
From the Pinnacle to the Pit”.
Si sgonfiano le chitarre all’altezza di “
See the Light”, creatura dall’indole arrendevole e purtroppo scevra di caratura armonica.
Primo
[spoiler alert: ed unico] momento di stanca del disco.
Si risollevano prontamente le quotazioni di “
Prequelle” per merito della progheggiante strumentale “
Miasma” –niente male la spruzzata di sax posta in chiusura-, e dell’immane tormentone “
Dance Macabre”,
mid tempo cromato che più anni ’80 non si può, deliziosamente in bilico tra i
Bon Jovi di “
Slippery When Wet” e “
Shot in the Dark” del buon
Ozzy.
Credo dovrò ricorrere alla lobotomia per togliermela dalla testa…
Orchestrazioni in primo piano per “
Pro Memoria”, traccia raccolta e solenne nel contempo, dotata di una linea vocale addirittura
seventies folk rock (se nomino
Ian Anderson si offende qualcuno?). Non raggiungerà i picchi di eccellenza di “
He Is”, ma ottima nondimeno.
Per rimanere in tema di auto-citazioni: difficile non pensare a “
Square Hammer” poggiando le orecchie sull’incipit sbarazzino di “
Witch Image”, che mette in mostra melodie ariose ed un
chrous ad alto tasso di viralità. Rispetto alla cuginetta mancano forse gli
hooks assassini a presa immediata, ma compensa la mancanza un
feeling nostalgico che fa tanto
Blue Öyster Cult.
L’ulteriore strumentale “
Helvetesfonter” (credo significhi “finestra sull’inferno” o qualcosa di simile), alla luce dei sopraffini arrangiamenti e di una progressione per nulla scontata, fa sorgere il dubbio che proprio in occasione di simili interludi i
Ghost abbiano potuto dare libero sfogo alle velleità compositive, riversando in essi una vena creativa priva di costrizioni “commerciali”. Chissà…
Si chiude con un'altra
semi-
ballad dai toni magniloquenti titolata “
Life Eternal”: gran bel pezzo, conciso ed essenziale (per quanto sin troppo ripetitivo a livello di
lyrics), che trae linfa dal connubio tra tasti d’avorio e voce di
Tobias.
L’edizione
deluxe vanta due
bonus tracks: una godibile rielaborazione di “
It’s a Sin” dei
Pet Shop Boys (se la memoria non m’inganna ci avevano già pensato i
Gamma Ray), e la cover di “
Avalanche” da “
Songs of Love and Hate” di
Leonard Cohen. Operazione, quest’ultima, ad alto rischio di lesa maestà, eppur condotta in porto vittoriosamente: i Nostri sono riusciti a
ghostizzarla senza smarrire il mistico afflato cantautoriale dell’originale.
Bravi davvero.
E torniamo così al punto di partenza: l’elemento centrale, quando di discetta dei
Ghost, è che sono tremendamente bravi a fare ciò che fanno.
“
Prequelle”, come avrete intuito, non possiede la profondità per ambire al titolo di capolavoro assoluto, tra 50 anni non verrà ricordato come un caposaldo del genere, attirerà senz’altro lo scherno sdegnoso dei metallari più oltranzisti… ma rimane, a mio parere, un
album bellissimo.
“
Dovunque Dio erige una chiesa, sempre il demonio innalza una cappella; e se vai a vedere, troverai che dal secondo ci sono più fedeli”.
(
Daniel Defoe)