Puntuale come un orologio svizzero ecco Gary Hughes e soci timbrare il cartellino anche per questo 2001. "Far Beyond The World" tenta di far dimenticare il precedente passo falso costituito dal concept "Babylon", album decisamente mediocre e che a distanza di tempo non considero nemmeno meritevole della stentata suficienza attribuitagli tempo fa in sede di recensione. L'album segna anche l'ultima apparizione del chitarrista Vinnie Burns nella band. Altra novità nella line up è costituita dall'abbandono di Don Airey, rimpiazzato da tale Paul Hodson nel ruolo di keyboard men. Abbandonate le accelerazioni di "Spelbound" ed gli sparuti orientamenti metal progressivi (almeno nelle loro malsane intenzioni) di "Babylon", la band torna a masticare l'hard rock canonico degli esordi, con in più una ben maggior presenza delle tastiere, che dona un sound più morbido e rotondo.
Dal punto di vista sonoro questo è il miglior disco prodotto dai Ten, non a caso troviamo dietro la console Tommy Newton, che vanta collaborazioni con bands affermata prime fra tutte gli Helloween (The Dark Ride) e gli ARK (Burn The Sun).
Più dosata, questa volta, la presenza dei solismi di Burns, che sull'album precedente risultava snervante a tal punto da alzare vertiginosamente il tasso di colesterolo nel sangue. I brani, così, ne giovano, non stressando l'ascoltatore e guadagnandone in scorrevolezza e fluidità.
Certo che non siamo di fronte alla miglior capitolo dei Ten, ma, se da un lato i brani stanno a testimoniare la difficoltà di Hughes a prendere le distanze da un certo songwriting ora un po' troppo autocelebrativo (vero è che il nostro in questi ultimi tempi è stato fin troppo prolifico), che ha già dato quel che doveva e che a lungo andare potrebbe mostrare definitivamente la corda, dall'altro riportano la band ad un discreto livello qualitativo. L'opener "Glimmer Of Evil", la melodica "Who do you Want To Love", la profonda "Scarlet And Grey" e il romantico lento "What About Me" risultano essere gli episodi più significativi di un album che in definitiva non fa gridare al capolavoro, ma risolleva qualitativamente i Ten.
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