Ogni
musicofilo che si rispetti ha una particolare predilezione per i suoi gruppi “di culto”, formazioni poco note che hanno avuto carriere travagliate, fatte di successi limitati (o addirittura nulli) e che invece ai suoi
occhi e
orecchi avrebbero meritato molto di più.
Oggi che, in epoca di grande
revival, la riscoperta degli “eroi dimenticati” è diventata un
trend abbastanza diffuso, tutto è (anche grazie alle immense possibilità della
Rete) assai più semplice e il problema, semmai, è orientarsi in un mercato delle ristampe e delle raccolte retrospettive decisamente florido e, forse, non sempre adeguatamente selettivo.
La pubblicazione di questo “
The Best of BANG” mi consente con malcelata soddisfazione di trattare brevemente una delle mie personali
cult band, che ai tempi faticai non poco ad approfondire, stimolato da informazioni frammentarie e, lo ammetto, da un’iperbolica definizione che voleva i
BANG la "
risposta americana ai Black Sabbath".
Il gruppo si forma nei primi anni settanta con il tradizionale schieramento
power-trio e, in effetti, può essere annoverato tra i progenitori del
doom metal, esibendo una personalità espressiva piuttosto composita, che attingeva anche dal
folk e dal
prog. Il loro primo parto discografico “
Death of a country”, rimasto pressoché inedito (era reperibile solo in versione
bootleg) fino al 2011, tratteggia le caratteristiche di una formazione dedita a una tipologia piuttosto variegata di
hard-rock, ben illustrata in questa selezione dai dieci minuti abbondanti della sua cangiante ed evocativa
title-track (impreziosita addirittura da barlumi vocali Byrds/Beatles-
iani), dalla soffice “
No trespassing” e dall’istintiva liquidità (con rimandi a The Who e Pink Floyd) di “
My window”.
Con il secondo “
BANG” arriva il prestigioso patrocinio della Capitol Records e con esso una variazione del suono che diviene più pragmatico e cupo, non distante da quello esibito dai ragazzi di Birmingham, di cui i nostri sembrano
quasi dei consanguinei artistici d’oltreoceano.
Per farsi un’idea nitida di tale metamorfosi è sufficiente ascoltare l’andamento caliginoso e il cantato Ozzy-
esco di “
Lions … christians”, “
The queen” e della suggestiva “
Questions”, che si “permette” addirittura di celebrare in qualche modo il passo dell’immortale “
Children of the grave”.
Ancora due frammenti dal secondo albo, “
Redman” e “
Our home”, confermano l’assoluta competenza di una
band che era riuscita ad aumentare l’impatto delle sue interpretazioni senza mortificare oltremodo l’ispirazione.
Con una doppia denominazione (e la relativa separazione tra lato
A e
B del disco originale), il successivo “
Mother / Bow to the king” vede i
BANG rimescolare le carte della loro fertile personalità artistica, alternando bucolici
hard-rock Zeppelineschi come “
Mother” alle digressioni
funky di “
Keep on”, per poi passare dalle scosse sinistre di “
Humble” e “
Idealist realist” alle emozionanti atmosfere rarefatte di “
Feel the hurt”.
“
Music” esce nel 1973 ed è un’opera leggermente controversa, zavorrata in parte dalle necessità “commerciali” dell’etichetta e comunque ancora capace di contemplare una magnetica delizia sonica del calibro di “
Windfair” (
ah, quel
mellotron …) e ottimi esempi di un approccio alla materia vario e coinvolgente come “
Exactly who I am” e “
Don't need nobody”, tutti lodevolmente inclusi nel programma.
Chiudono la ricca rassegna “
Feels nice” e “
Slow down”, brani tratti da un singolo del 1974, dove l’influenza degli
Zeps e dei Grand Funk viene sublimata dalla classe e dal talento di un gruppo che ha lasciato molto ai posteri, ricevendo indietro troppo poco, anche quando il ritorno d’interesse per certe sonorità lo ha portato a riformarsi proponendo un paio di onorevoli lavori autoprodotti (qui non rappresentati).
Se vi piace il “classico” e non l’avete ancora fatto, la doverosa (ri)scoperta dei
BANG può tranquillamente iniziare da qui … sono convinto che, oltre ad accrescere la vostra cultura e farvi trascorrere un’ora abbondante di puro sollazzo
cardio-uditivo, l’ascolto di questa “vecchia roba”, lontana dai riflettori dei “soliti nomi”, vi servirà anche a soppesare con maggiore chiarezza e lucidità il valore delle nuove generazioni di
retro-rockers che affollano la scena contemporanea … utile e dilettevole, insomma … difficile chiedere di meglio.