Doppia cassa in modalità elicottero, riff melodici quanto basta, refrain
“happy”,
Ride,
Sky Fly, cori epici e chi più ne ha più ne metta…
Quasi a voler dire che se oggi giorno una power metal band vuole andare sul sicuro, le basti fare un copia/incolla di tutto ciò che è già stato sentito.
Intendiamoci di spunti interessanti in questo
“The Last Dream” secondo album di Portoghesi
Fantasy Opus ce ne sono abbastanza e aggiungiamo nel calderone anche un pizzico di “neoclassicismo” che spicca in modo particolare durante l’ascolto di
“Heaven Denied”.
Resta purtroppo l’impressione di trovarsi al cospetto della solita
tribute band che seppur sa fare bene il suo lavoro non aggiunge nulla di nuovo al panorama Power Metal, se non quegli elementi prog che ritroviamo qua e la durante i vari pezzi, cosa che tra l’altro non è una novità, rendendo il tutto più simile ad una grande “insalata mista”.
Personalmente ritengo anche l’eccessiva durata dei vari episodi un enorme punto debole, in alcuni casi si fa davvero fatica ad arrivare al termine della traccia lasciandosi sopraffare dalla tentazione di saltare alla canzone successiva.
Non capisco la necessità di “allungare il brodo” per poi ritrovarsi un album di 71 minuti ma che rischia di finire ben presto nel dimenticatoio, a causa di una immediatezza pressoché inesistente.
Non a caso i brani più convincenti sono quelli che durano meno, come la struggente ballad
“Lust” o le due tracce che troviamo nel finale in cui si respira anche una freschezza che fino a questo momento era mancata.
Anche
“Black Angels” è un pezzo che merita attenzione, col suo inizio cadenzato che lascia intravedere una possibilità di “decollo” durante il corso del brano ma che resta ben salda su terreni
malinconici per poi prendere il volo definitivamente dopo l’assolo di chitarra che ci conduce fino alla fine del pezzo.
Dopo aver strizzato l’occhio all’Happy Metal dei maestri tedeschi, al prog dei Dream Theater i nostri si tuffano a capofitto anche in una suite della durata di 13 minuti, in cui i tre minuti e passa iniziali di intro strumentali, sono davvero troppi.
Come ovvio che sia in una canzone di questo tipo i cambi di tempo sono sempre dietro l’angolo, giocando molto con intervalli progressive e parti che rallentano improvvisamente.
La sensazione è che manchi il
quid giusto, quello per intenderci che abbiamo trovato in
“Ritual Of Blood”, ovvero il brano più lungo dopo questa
“Perfect Storm”.
Quasi per assurdo è molto più interessante la trionfale
“Oceans” nonostante duri poco più di novanta secondi.
Con
“Realm Of The Mighty Gods” la doppia cassa torna a ruggire, si percepisce una maggiore “aggressività” che ritroviamo in forma ancor più visibile nella closer-track
“King Of The Dead Total” a discapito del “melodic metal” presente fino ad ora, che fa posto ad una sorta di teatralità che riesce incredibilmente a coinvolgere l’ascoltatore fino alla fine del brano e dunque di questo
“The Last Dream”, un album riuscito a metà che pur mostrando qualcosa di accattivante non è stato in grado di entusiasmarmi in pieno.
Che dire, i nostri sono decisamente sulla strada buona, questo secondo album deve rappresentare un punto da cui partire perché le potenzialità ci sono, l’impressione che se ne ricava è di una band che se riuscisse a trovare una propria personalità, potrebbe in futuro essere capace di grandi cose.
Dimenticavo, capitolo artwork, definirlo debole probabilmente non renderebbe l’idea, c’è da lavorare anche sotto questo aspetto.