In qualsiasi modo la vogliate mettere, non si potrà di certo affermare che i
TNT non amino “sorprendere” i loro
fans. Li avevamo lasciati in pieno afflato “nostalgico”al
FRF IV, con lo storico
Tony Harnell al microfono, impegnati nella celebrazione del trentesimo compleanno di “
Tell no tales” e oggi li ritroviamo con un nuovo cantante a riprendere quel percorso di fusione tra “classico” e “moderno” che da parecchio tempo caratterizza le loro controverse produzioni discografiche.
Il problema è che “
XIII” rischia anche di mettere a dura prova la pazienza degli estimatori dei norvegesi, i quali ammettiamolo, sono anni che non incidono veramente sulle “sorti” della musica
rock, alternando prestazioni sconcertanti ad apparenti riprese comunque sempre abbastanza lontane dal poter essere giudicate pienamente appaganti e convincenti.
Ancora una volta, accanto a qualche sprazzo tutto sommato apprezzabile, la raccolta propone una serie di momenti piuttosto insipidi e sconclusionati, di certo non all’altezza di un gruppo da annoverare tra i principali protagonisti del
metal melodico europeo.
E tutto questo nonostante il nuovo
vocalist,
Baol Bardot Bulsara, con un timbro tra lo stesso
Harnell e
Joey Tempest, si dimostri un eccellente interprete (magari non molto carismatico …) e
Ronni Le Tekro si confermi un musicista sopraffino per tecnica e inventiva.
A mancare sono proprio le “canzoni”, perse nel vano inseguimento di una creatività Queen-
esca o affossate da una patina di formalismo laddove cercano soluzioni maggiormente “convenzionali”.
Tra la piacevole ariosità di “
We’re gonna make it” e “
Tears in my eyes” si piazzano brani interlocutori come “
Not feeling anything” e “
Fair warning”, mentre non voglio neanche commentare le palesi cadute di stile esibite in "
It’s electric”, "
17th of May”, "
Catch a wave” e nella terribile “
People, come together”, “stramberie” soniche prossime alla molestia.
“
Where you belong”, “
Can’t breathe anymore” e “
Sunshine” sono ballate di discreto valore e tuttavia un po’ troppo manierate e lo stesso si può dire per “
Get ready for some hard rock”, un
anthem gradevole e
banalotto, abbastanza irriguardoso nei confronti del prestigioso
pedigree degli scandinavi nel campo dell’
arena rock.
Rappresentando un passo indietro rispetto al precedente “
A farewell to arms”, sebbene, fortunatamente, ancora in grado di collocarsi a una certa “distanza di sicurezza” dal baratro costituito da “
New territory” e “
Atlantis”, “
XIII” è l’ennesima dimostrazione di uno sperpero di risorse e di un preoccupante
deficit ispirativo, celati da una sedicente cortina di estrosità … una delusione, insomma, a cui mi sento complessivamente di assegnare, con grande rammarico, soltanto una poco edificante sufficienza.
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