Credo sia opportuno premetterlo: il disco quest’oggi in esame non ha nulla a che vedere con la nostra musica prediletta, e per certi aspetti non c’entra granché nemmeno col
rock.
La
Season of Mist, noncurante di ciò, ha ben pensato di immettere sul mercato il quarto
full length degli
Árstíðir, compagine islandese dedita a sonorità oltremodo
soft.
Non che ciò costituisca di per sé un male, per carità.
Al tempo stesso, ho motivo di ritenere che un portale come il nostro vanti pochi punti di contatto con una sinuosa creatura
indie chamber pop dagli umori
folk e sinfonici.
Cercate di figurarvi una sorta di fusione tra le timide sonorità di
Simon & Garfunkel,
Radiohead,
Kings of Convenience,
Sigur Rós, senza dimenticare…
Come dite?
Avete ricevuto una telefonata urgente dal commercialista e dovete proprio andare?
Ok, ho capito l’antifona, e non me la sento di biasimarvi, posto che “
Nivalis” non ha particolarmente convinto nemmeno il sottoscritto.
Per i pochi che non sono fuggiti a gambe levate: di brutta musica, nei solchi di questo dischetto, non se ne scorge traccia, eppure dopo tre ascolti attenti non ho ancora trovato un singolo aspetto che abbia saputo convincermi.
Le composizioni, tutte di breve durata, confondono spesso la concisione con l’involuzione: alcuni spunti, pur interessanti, avrebbero avuto bisogno di maggior respiro, di maggior spazio di manovra, di maggior pazienza per essere sviluppati appieno (gli
Anathema, anch’essi riferimento stilistico spendibile, insegnano sotto questo profilo).
Ancora: le
vocals sussurrate e intimiste di
Gunnar Már Jakobsson e
Daniel Auðunsson -anche alle chitarre- troppo di rado si adagiano su linee realmente evocative, senza contare che alcune svenevolezze sono risultate indigeste persino ad un ascoltatore
open minded come il sottoscritto.
La produzione, da ultimo, avviluppa l’impatto emotivo delle melodie in una coltre di algida perfezione formale, svilendo il fascino delle raffinate tessiture strumentali e delle orchestrazioni. Oltre a ciò, la cassa rimbalza e scoppietta decisamente troppo per i miei gusti…
Come già sottolineato non si tratta affatto di aprioristica chiusura nei confronti di generi alieni al
metal, bensì di perplessità suscitate da un’esperienza uditiva piacevole quanto sterile e parca di stimoli.
Inutile soffermarsi sull’analisi dei singoli brani –in “
Nivalis”, a mio avviso, non si segnalano picchi clamorosi né abissali crolli-, l’antifona è ormai chiara: gli
Árstíðir sanno il fatto loro, ma se sentite l’esigenza di immergervi in un catino di suadente malinconia
made in Reykjavík vi consiglio piuttosto gli ultimi due dei
Sólstafir.