Tunjum - Deidades del inframundo

Copertina 5

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2018
Durata:42 min.
Etichetta:Dunkelheit Produktionen

Tracklist

  1. LA VENGANZA DE LA BESTIA LUNAR
  2. DIFUNTA SEñORA SOBERANA
  3. ANTIGUO DIOS DE LA NOCHE
  4. LA MALDICIóN DE LA BRUJA
  5. DESTINO DE LOS CAUTIVOS
  6. DEMONIOS DE LA TIERRA
  7. REBELLIóN DEL INFRAMUNDO
  8. RETORNO AL ORIGEN

Line up

  • Kultarr: Drums, Vocals
  • Evil Avatar: Guitars
  • Saj: Guitars (lead), Bass

Voto medio utenti

E’ sempre interessante fare un giro negli ambienti musicali sudamericani (si intende i nostri ambienti musicali, non quella feccia di musica latino-americana che sfracassa gli attributi ogni estate procurandoci l’orchite per mesi) anche se non sono più gli anni 80 e 90 quando solo con estrema difficoltà giungevano in Europa le registrazioni delle prime band thrash e death da Brasile o Colombia.

Questa volta il tour tocca niente di meno che il Perù che ci “offre” i deathster old school Tanjum (termine che nel linguaggio Moche unisce le parole “morte” e “uccidere”) i quali suonano un serrato e gutturale death metal dalle tematiche sanguinolente basate sulla mitologia locale.
Titoli come “La vengeanza de la Bestia”, “La maledicion de la bruja”, “Demonios de la terra” dicono già tanto prima ancora che si pigi il tasto play del lettore pure a chi non ha familiarità con la lingua spagnola, anche se dubito fortemente che riuscirete a intendere l’ispanico idioma nei gorgoglii emessi dal singer Kultarr.

Sebbene la loro casa discografica, la Dunkelheit Produktionen, nelle bio indichi una sfilza infinita di band a cui i Tanjum si ispirano, è facile notare echi di Autopsy, Asphyx (anche se non si raggiungono i rallentamenti doom, marchio di fabbrica della band olandese) e ,in piccola misura, Incantation.
Purtroppo la ciambella non è uscita con il buco al centro, colpa sicuramente di un drumming fin troppo ripetitivo e privo di variazioni fra una canzone e l’altra, ed il già citato stile vocale del singer che non fa niente di niente per aiutare l’ascoltatore a identificare quale brano sta sentendo.

Alla quarta traccia l’attenzione se ne è già andata, alla sesta si cominciano a manifestare decisi segni di insofferenza e quando realizzi che mancano ancora due brani al termine di “Deidades de l’inframundo” non si può far altro che alzare bandiera bianca e cambiare disco.

Peccato perché, alla fin fine, le potenzialità ci sono: l’idea di puntare sulla mitologia precolombiana è originale, quello che manca – almeno per ora – è la capacità di cambiare registro, di giocare coi tempi, ovvero quello che serve ad un album death metal anche old school di farsi notare fra la miriade di uscite mensili del settore.
Da rivedere.

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