E’ opinione diffusa, e per certi versi pure condivisibile, che ai “veterani” del
Rock n’ Roll non si possa chiedere di “strabiliare” gli astanti, e che in fondo sia sufficiente, per soddisfare i propri fedeli e affezionati estimatori, mantenere un profilo dignitoso, ben consapevoli che il vigore interpretativo e il valore artistico dei “tempi belli” si sono fatalmente esauriti.
Beh, se così è, nessuno deve aver avvisato di tale situazione
Mr. Graham Bonnet, classe 1947 e un’esuberanza da vendere, evidentemente rivitalizzato da un ritorno d’interesse della “scena” per la sua straripante personalità (e, forse, anche da una giovane fidanzata, la bassista
Beth-Ami Heavenstone), tanto da consentirgli diverse pubblicazioni discografiche, roventi esibizioni dal vivo e un “ritorno di fiamma” con il vecchio
partner in crime Michael Schenker.
Il secondo albo a nome
Graham Bonnet Band è una vera esplosione di energia e se non fosse per qualche episodio leggermente meno riuscito (tra cui la
cover di “
We don't need another hero” di
Tina Turner, tema portante del film “
Mad Max - Oltre la sfera del tuono”), si potrebbe tranquillamente parlare di un lavoro in grado di affiancare le migliori produzioni del
vocalist britannico.
Perso il supporto di
Mark Zonder (egregiamente sostituito da
Mark Benquechea) e acquisiti i preziosi servizi di
Joey Tafolla (un altro pupillo di
Mike Varney, che va ricordato anche per aver contribuito al mio disco preferito dei Jag Panzer, “
Ample destruction”), il gruppo asseconda il suo capitano di lungo corso con adeguata vivacità, ma ad appassionare veramente è la voglia di
Graham di non limitarsi esclusivamente a rileggere la sua “storia” più nota, aggiungendo intriganti e vagamente “avventurose” sfumature soniche (che arrivano addirittura a titillare suggestioni
Bowie-esche), andando poi anche a toccare nei testi temi tutt’altro che “frivoli” (religione, razzismo, abuso delle armi da fuoco, …).
Niente paura,
eh, stiamo ovviamente sempre parlando di un disco di aitante
hard n’ heavy, (rivolgersi alla funambolica
opener e
title-track dell’albo, alla rocciosa “
Long island tea” o all’incalzante “
Past live” per referenze immediate) e tuttavia piace in particolare l’approccio libero da “condizionamenti” con cui i nostri affrontano la materia sfornando brani piacevolmente variegati (l’
hard-pop “
Livin’ in suspicion”, sostenuto dalla chitarra di
Kurt James, le fascinose melodie cangianti di “
Incest outcest U.S.A.”, “
The house” e “
Sea of trees” o ancora il magnetismo esotico di “
Heading toward the light”, evocato dal
sitar e da una costruzione armonica che sembra quasi omaggiare gli Yes) pur nel rispetto di un’inevitabile base di “classicità”.
Con un unico vero momento “
amarcord”, affidato alla sempre pregevole ”
Starcarr lane” (brano degli Alcatrazz catturato live alla “
Daryl’s House” … il
Cd contiene anche un
DVD bonus, non disponibile per la versione promozionale, con l’intera esibizione, avvenuta all'inizio del 2018), “
Meanwhile, back in the garage” chiude i battenti, lasciando nell’ascoltatore appassionato tante buone sensazioni e almeno una certezza … certi personaggi, anche nella fase “matura” della loro esistenza, non smettono mai di stupire.