Una crescita continua e costante quella degli
Eversin, tanto per concretezza quando per la qualità, compositiva ed esecutiva, messa in campo. Senza dimenticarsi della cattiveria che sanno trasformare in musica.
Il nuovo album,
"Armageddon Genesi", è, infatti, una sonora mazzata, che accentua gli stilemi e le stilettate che caratterizzavano "Trinity: The Annihilation": un Thrash Metal gelido e rabbioso, tanto da sfumare spesso e volentieri nel Death Metal, e che evidentemente è quello più congeniale alla formazione siciliana.
Gli
Eversin, rinnovano la scelta di collaborare con alcuni special guest, e oggi troviamo il grande
Ralph Santolla (che ci ha lasciato solo pochi mesi fa) e la sua testimonianza nell'assolo piazzato su "
Soulgrinder" e
Lee Wollenschlaeger (il nuovo frontman dei Malevolent Creation) a cantare nella titletrack.
Temi post-apocalittiche, di un'umanità senza futuro e speranze, che già si insinuano con la cinematografica introduzione di "
A Dying God Walks the Earth", con le legioni che partono poi all'attacco nella seguente "
Legions": un assalto che richiama non poco gli Slayer, con un
Angelo Ferrante sempre più convincente e una sezione ritmica,
Ignazio Nicastro al basso e
Danilo Ficicchia alle pelli, che non ha certo paura di far del male. E lo ribadiscono subito sulla seguente "
Jornada del Muerto", lacerata dalle rasoiate del chitarrista
Giangabriele Lo Pilato. E a proposito di chitarre ecco il già citato
Ralph Santolla a lasciare il segno su "
Soulgrinder", altro episodio thasheggiante che nel suo evolversi mi ha fatto pensare ai Sacred Reich. Una citazione questa, come altre fatte in passato (e in futuro), che non deve certo sminuire la prova degli
Eversin, ma è solo utile a inquadrare la loro proposta musicale, mai banale e sempre più personale, come su "
Havoc Supreme" che li vede alternare passaggi esasperati ad altri più articolati e ricercati. Un po' come accade su "
Where Angels Die" e "
Seven Heads", due dei capitoli più rappresentativi, surclassati solo dalle canzoni che ci accompagnano alla fine del disco (o del mondo?). "
Armageddon Genesi", che flirta con il Death, anche per il contributo in growl di
Wollenschlaeger, ed eccede con la violenza e l'esasperazione, mentre un po' a sorpresa ecco che la conclusiva "
To the Gates of the Abyss" non ci caccia subito a forza nei meandri infernali, ma lo fa in maniera più subdola, partendo da una marcia ben scandita e ipnotica che si infiamma in un finale parossistico e spasmodico che nelle ultime battute sfuma in delicato arpeggio.
"
Armageddon Genesi" è un disco che non si lascia superstiti alle spalle
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