Ci sono dischi che affronti con piglio al tempo stesso sfrontato e sereno, coltivando l’intima certezza di conoscerne in anticipo il contenuto. La conseguente recensione, dunque, non potrà che ridursi ad una passeggiata di salute: in fondo, basterà valutare il grado di ispirazione raggiunto da una
band dal
modus operandi ormai noto agli inquirenti… giusto?
Sbagliato!
A frustrare le mie effimere certezze giunge quest’oggi il nuovo full dei
Korpiklaani, “
Kulkija”.
Intendiamoci: i Nostri non si sono certo votati al
djent. Ciò detto, bisogna ammettere che, pur rimanendo confinata all’interno degli steccati stilistici che abbiamo imparato a conoscere (ed apprezzare, almeno per quanto mi riguarda), la compagine silvana si sia resa protagonista di una prova coraggiosa, per certi versi addirittura sorprendente.
Le premesse erano di quelle ambiziose:
concept album,
lyrics interamente in lingua madre, 14 tracce spalmate su ben 71 minuti complessivi, ma soprattutto la volontà di imboccare un percorso artistico più maturo, svincolato dagli sguaiati inni etilici del passato…
Il rischio polpettone, insomma, era alto, ma i
Korpiklaani l’hanno schivato con inusitata naturalezza.
Trovo che proprio l’aggettivo “naturale” descriva con dovizia l’opera in esame:
- iniziamo dal tema portante, quello del viaggiatore (
kulkija, per l’appunto): i testi ne narrano avventure e peregrinazioni, le quali s’intrecciano a loro volta ad eventi e personaggi cari all’immaginario del folklore finnico.
È dunque l’elemento bucolico, da sempre fonte d’ispirazione lirica, ad emergere con forza, materializzando di fronte ai nostri occhi splendidi paesaggi rurali come quello tratteggiato nell’
artwork di copertina del fidato
Jan Yrlund.
Tutto molto affascinante… purché disponiate di
Google Translate;
- passiamo poi al
sound, capace di donare ai brani il carattere organico di cui abbisognavano. La volontà di sposare la causa della spontaneità era chiara sin dalla scelta di utilizzare, per le registrazioni, le strumentazioni e gli impianti solitamente impiegati in sede
live; a ciò, tuttavia, va aggiunto il magistrale lavoro svolto ai
Petrax Studio dal produttore
Janne Saksa.
Proseguendo sul solco intrapreso dal precedente “
Noita”, infatti, si è raggiunto un bilanciamento perfetto tra le componenti
metal e
folk che contraddistinguono il combo;
- a ciò si collega strettamente la prestazione dei musici: compatta, coesa, ben oliata, la macchina
Korpiklaani avanza senza inciampi e mette in bella mostra la fisarmonica di
Sami Perttula ed il violino di
Tuomas Rounakari, mai così a loro agio e fondamentali per il buon funzionamento del motore.
Nota di merito anche per la prestazione canora di
Jonne, istrionico e carismatico come non mai;
- concludiamo in bellezza con le composizioni. Come scritto in precedenza, il nuovo platter vede i Nostri indossare più volentieri le vesti dei vecchi saggi che rimembrano i bei tempi andati davanti ad un camino che non quelle degli etilisti spiantati pronti a radere al suolo un
pub.
Man mano che i brani si dipanano, infatti, veniamo presi per mano da melodie suadenti, riflessive, proprie di chi si guarda indietro rendendosi così conto di quanta strada sia stata percorsa e di quanta fatica sia costato percorrerla (“
Kulkija”, ricordiamolo, marca il traguardo del decimo
full length).
Se alcune porzioni dell’
album mantengono comunque un certo grado di spigliatezza (le frizzanti “
Neito”, “
Pellervoinen”, “
Juomamaa” e “
Korpikuusen kyynel”, senza dimenticare il rutilante
chorus di “
Korppikalliota” ed il simil-
valzer di “
Kuin korpi nukkuva”), ci accorgiamo tuttavia che a questo giro è la malinconia a farla da padrone.
Penso alla nostalgica “
Aallon alla”, alla stupefacente
suicide ballad in salsa
folk di “
Harmaja”, alla luminosa coralità di “
Riemu”, alle elegie di “
Kotikonnut” e delle
doomeggianti “
Kallon Malja” (il cui incipit mi ha addirittura ricordato i sommi
My Dying Bride di “
The Angel and the Dark River”) e “
Sillanrakentaja” (la quale sfoggia la partecipazione dei pargoletti di
Jonne e
Cane nel ruolo di
guest vocalists) o, ancora, al crepuscolare affresco dipinto dalla conclusiva “
Tuttu un tie”.
La
tracklist, più in generale, è stata compilata con rara avvedutezza -orrido vocabolo-: le varie anime che compongono il disco s’intrecciano e si disvelano un po' per volta, aumentando l'immersione dell’ascoltatore e forgiando un
unicum narrativo/uditivo denso ed avvolgente, che cresce ad ogni passaggio nello stereo (anche questa una rarità in casa
Korpiklaani).
Se questo fosse stato l’ennesimo disco fotocopia avrei potuto concludere col più classico dei “
se vi sono sempre piaciuti fatelo vostro, altrimenti lasciate pur perdere”. Invece, dal momento che i
Korpiklaani hanno profuso uno sforzo che ritengo vada premiato -anche in sede di voto, come avrete notato-, mi permetto di consigliare “
Kulkija” a chicchessia, ivi compresi i detrattori che da sempre imputano loro scarsa serietà e profondità.
Potrebbero rimanere piacevolmente sorpresi.