C’è qualcosa di parecchio affascinante, comprese le sue piccole “imperfezioni”, nel primo disco degli
Orphan Skin Diseases, ennesimi debuttanti di un panorama “alternativo” in continuo fermento.
Fondato dal batterista
Massimiliano Becagli (No Remorse) e con una
line-up completata da
Gabriele Di Caro (ex Sabotage, ex Outlaw),
David Bongianni (ex Virya, Little CB),
Juri Costantino (ex Creation) e
Dimitri Bongianni, il gruppo propone quattordici frammenti sonori in cui far confluire una moltitudine d’influenze, che partono da una solida base
heavy metal nella quale integrare detriti
dark,
psichedelia,
grunge e addirittura qualche scoria vagamente
progressiva.
Un caleidoscopio di suggestioni dominate abbastanza bene da una
band dotata di discreta personalità e autorevolezza, evidenti in un lavoro dove passione e forza, paranoia e istantaneità, oniricità e concretezza convivono in maniera piuttosto felice.
Come anticipato, però, “
Dreamy reflections” non è del tutto esente da difetti, che per quanto mi riguarda si manifestano, ad esempio, nelle abbastanza insipide scansioni Metallica-
oriented di “
Into a sick mind” o negli eccessi “ruffiani” di “
Awake”, mentre altrove gli ingredienti risultano dosati con una superiore accuratezza e consistenza, per una soddisfazione
cardio-uditivo assai corposa.
A tal proposito, possiamo dire che “
Flyin' soul” è un’eccellente dimostrazione di come si possano combinare con efficacia pesantezza e immediatezza, che la morbosa “
The storm” ha i mezzi per strisciare subdolamente tra i sensi e che “
Rapriest (Stolen innocence)” sa scuoterli alla maniera di certi Megadeth.
L’influsso degli anni d’oro della
Bay Area è ancora più evidente nella potente “
Do you like this?”, ma personalmente preferisco gli
OSD quando rivelano il loro lato maggiormente “oscuro” e inquieto, come accade in “
As a butterfly grub” e "
Leave a light on” (una specie d’incrocio tra SOAD e Placebo!), o quando l’energia è canalizzata in maniera migliore, come avviene in “
Sorrow & chain” e in “
The wall of stone”, due lucidi e granitici momenti di
metallo contaminato.
Dopo la pungente gradevolezza di “
Waves”, tocca all’ambizioso trittico “
Just one more day” scandagliare nuovamente le profondità dell’animo dei nostri, mettendo a frutto stavolta, e con risultati ampiamente soddisfacenti, gli insegnamenti di Soundgarden, Pearl Jam e Days Of The New.
“
Dreamy reflections” è, in conclusione, un buon modo per accendere l’attenzione degli appassionati del settore e sono convinto che l’acquisizione di ulteriore maturità e sicurezza potrà portare maggiore focalizzazione e controllo (compresa la gestione delle due voci soliste) al variegato tracciato espressivo degli
Orphan Skin Diseases, un nome che merita fin da ora di essere sottoposto a un’attività di stretto e attento monitoraggio.
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