L’
album quest’oggi in esame, per amor d’onestà, ha visto la luce già da qualche tempo (2 marzo), eppure approfitto ben volentieri della successiva (26 ottobre) uscita in vinile per parlarne.
Intendo farlo in termini tendenzialmente positivi, benché vada senz’altro svolto qualche doveroso distinguo.
Iniziamo dalla fine: il voto assegnato, lo ammetto col candore di un neonato, computa anche il fattore stima. Provo simpatia per il povero
Blaze, ed ammiro l’indefessa determinazione con la quale persevera nel proporre la sua musica a prescindere da riscontro commerciale (scarso perlopiù) e di pubblico (ancor peggio).
Pertanto, se siete umanamente ed artisticamente neutri nei confronti del corpulento cantante di
Birmingham, levate serenamente mezzo punticino.
Potete analizzare “
The Redemption of William Black (Infinite Entanglement Part III)” da ogni angolo prospettico immaginabile, ma non riuscirete comunque a rintracciare in esso alcun crisma di eccellenza.
Bayley, si sa, possiede limiti piuttosto vistosi come cantante, come
songwriter e come
lyricist.
Tuttavia, se si escludono lo sciapo “
Promise and Terror” e l’indecoroso “
The King of Metal”, gli va dato atto di aver saputo costruire una discografia solista ben più che dignitosa, coronata da un trittico di
concept album che ne ha –quantomeno qualitativamente- risollevato le sorti.
Così, dopo i positivi “
Infinite Entanglement” (2016) ed “
Endure and Survive (Infinite Entanglement Part II)” (2017), tocca alla terza ed ultima parte confermare lo stato di forma artistica del Nostro.
Ancora una volta abbiamo a che fare con un
classic metal melodico e grintoso al tempo stesso; un
metal né troppo antico né troppo moderno, sospinto da una prestazione strumentale di tutto rispetto e da una produzione scevra di effetti speciali, ma competente ed onesta (doti rare oggidì); un
metal non privo di riferimenti
maideniani, ma nemmeno pateticamente abbarbicato ai fasti di un lontano passato in seno alla
Vergine.
In poche parole, abbiamo a che fare col
sound che
Blaze ama, e questa passione trasuda letteralmente dai solchi del dischetto.
Certo, non tutte le ciambelle sono uscite col buco: il ricorso alle voci narranti, ad esempio, finisce per infastidire, anche in considerazione degli scarsi profili di interesse suscitati dalle avventure in salsa distopico/
sci-fi narrate nei testi.
Alcune canzoni, poi, alternano buoni spunti ad incespichi: penso ad “
Immortal One”, che smarrisce la retta via all’altezza del
chorus, a “
The First True Sign”, in cui, al contrario, funziona solo quello, al discutibile riffing spezzato di “
Already Won”, alle sciape linee vocali di “
18 Days” e, da ultimo, a “
Life Goes On”, ottimo pezzo purtroppo inficiato da una interpretazione canora troppo carica (un cinefilo parlerebbe di
overacting).
A fronte di ciò, “
The Redemption of William Black (Infinite Entanglement Part III)” annovera altresì un pugno di brani davvero convincenti: la trascinante “
Redeemer” svolge più che egregiamente il ruolo di
opener che le è stato assegnato; altrettanto può dirsi del godibile singolo “
Prayers of Light”, dotata di melodie di facile presa e di un ritornello da cantare a squarciagola.
“
The Dark Side of Black” possiede una strofa che gli amanti di
Blaze avranno già sentito altrove (“
The Launch” il riferimento più limpido), eppure l’auto-citazionismo non leva un’oncia della carica dirompente di cui la canzone è dotata; dall’altra parte dell’arcobaleno, incanta l’immancabile riflessione (semi)acustica a titolo “
Human Eyes”, sofferta ed intensa anche allorquando irrompe l’elettricità.
Dulcis in fundo, menzione d’onore per la conclusiva “
Eagle Spirit”, la cui profezia declamata con arpeggio in sottofondo mi ha fatto sorgere dolci ricordi di gioventù -ricordate “
Visions (Southern Cross)” degli
Stratovarius, vero?-. Ok, le due canzoni non si somigliano, ma condividono l'afflato epico ed il pregio di chiudere i rispettivi
platter nel modo migliore possibile.
“
Al pari della fiamma di una candela che, anche nel momento in cui viene capovolta, continua a protendersi verso l’alto, così l’uomo ridotto in ginocchio dal destino si rialza per combattere”.
Mi piace pensare che l’autore anonimo pensasse a
Blaze Bayley quando foggiò l’aforisma.