Si possono formulare tante ipotesi sul perché i
Treat abbiano scelto proprio una misteriosa esplosione (pari a mille atomiche di
Hiroshima!) avvenuta oltre cent’anni fa in una remota regione della Siberia per rappresentare la loro essenza artistica nel 2018, ma quello che è certo è che “
Tunguska” fin dal primo contatto si rivela un disco dall’impatto piuttosto “dirompente”, confermando il momento magico di una formazione che dal suo “ritorno” non ha più sbagliato un colpo.
“
Coup de grace” e ”
Ghost of Graceland” sono due “precedenti” molto impegnativi e ciò nonostante anche stavolta gli svedesi dimostrano di essere
armed & ready per confrontarsi prima di tutto con loro stessi e poi con la florida e competitiva scena melodica contemporanea.
La miscellanea di cromature metalliche, melodie catalizzanti e pomposità tastieristica continua a esaltarsi in una tecnica ineccepibile e in un
songwriting assai incisivo, per un quadro complessivo che anche nel rispetto della nobile “tradizione” scandinava mantiene freschezza e riconoscibilità, non rischiando praticamente mai di compiacersi nella “storia” del gruppo o di annullarsi nella sterile riproposizione dei
cliché del genere.
L’iniziale “
Progenitors”, con il suo raffinato clima
anthemico che irrompe dopo un’
intro molto “cinematografica”, riesce a conquistare istantaneamente i sensi e a rassicurare tutti i
fans della
band, che sono certo apprezzeranno anche il tocco vagamente Whitesnake-
esco di “
Always have, always will” e la suggestiva “
Best of enemies”, forte di un
groove assolutamente tonificante.
“
Rose of Jericho” è un frammento di musica memorabile, pregno di ombrosa tensione emotiva e marchiato da un
refrain avvincente, mentre “
Heartmath city” ostenta un gradevole
flavour Van Halen-
iano e “
Creeps” si rivela un gioiellino di pulsante magniloquenza, lambita da un velo di ardore celtico.
L’escursione nel
radio-rock “moderno” denominata “
Build the love” appare sufficientemente efficace e credibile e se “
Man overboard” ha il suo punto di forza in una melodrammatica costruzione armonica (e, ancora una volta, nel ritornello), “
Riptide” colpisce per la sua ariosa limpidezza melodica.
A una sfarzosa ballata come “
Tomorrow never comes”, pur nella sua spiccata piacevolezza, si poteva chiedere uno sviluppo lievemente meno convenzionale e anche durante l’ascolto della frizzante “
All bets are off” e della grintosa “
Undefeated“ affiora l’impressione che i
Treat arrivino all’epilogo dell’opera con appena un pizzico di “fiato corto”, conservando, sia chiaro, una statura artistica e una classe espressiva di livello superiore.
I timpani più raffinati saranno dunque irrimediabilmente adescati dai brillanti contenuti sonori di “
Tunguska”, un albo che valutato nella sua globalità convalida e rinsalda la posizione dei
Treat nel
gotha del settore.
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