Snakes In Paradise … ovvero la risposta a chi dubita che la coniugazione tra l’
hard-blues più sofisticato e i molteplici colori dell’
AOR sia ancora, dopo Whitesnake, Foreigner e Bad Company (a cui aggiungo pure i The Law, la
super-meteora targata
Paul Rodgers e
Kenney Jones ...), una soluzione espressiva di grande valore anche nelle frenesie del terzo millennio.
Non ho trovato un modo maggiormente efficace per introdurre al
Glorioso popolo di
Metal.it il
ritorno (mamma mia quante volte abbiamo dovuto utilizzare questo termine …) di uno dei tanti gruppi esplicitamente (fin dal
monicker …) devoti prima di tutto al verbo del
Serpente Bianco eppure capaci, in anni “difficili” come i novanta, di segnalarsi per competenza e classe al pubblico dei
rockofili.
Tre dischi (tra cui l’ottimo “
Garden of Eden”) e una
compilation, poi lo scioglimento, con l’eccellente
vocalist Stefan Berggren che sfogherà le sue velleità
Coverdale-esche con i Company of Snakes (ricevendo così l’
imprimatur di
Bernie Marsden,
Micky Moody e
Neil Murray …),
Lee Kerslake (Uriah Heep,
Ozzy Osbourne, ...) e con i trascurabili Razorback.
Anche grazie a una “scintilla” chiamata Revolution Road (felice coalizione tra
Berggren e il nostro
Alessandro Del Vecchio …), l’idea di riprendere un percorso interrotto nel 2002 prende corpo, fino alla
reunion del 2016 e a questo “
Step into the light”, licenziato dall’instancabile
Frontiers Music.
Si tratta di un lavoro davvero godibile, pieno di linee melodiche vellutate e accattivanti, che non dimentica di conferire al contempo il giusto nerbo a composizioni ben congeniate, dalle quali, oltre all’ugola suadente di
Stefan, spicca l’ispirato fraseggio chitarristico dell’affiatato duo
Jakobsson /
Jonsson.
Brani ariosi ed evocativi come “
Wings of steel”, “
Silent sky” e “
Living without your love” conquistano l’attenzione in maniera istantanea e se “
Will you remember me” e "
Things” inoculano nelle fibre sonore del programma un ammiccante spirito “sudista”, tocca a “
Angelin” conquistare la palma di traccia migliore della raccolta, in virtù di un’emozionante costruzione armonica.
L’
hard-rock prende il sopravvento nella brillante “
If I ever see the sun again”, “
After the fire is gone” sfoggia un avvolgente andamento molto
seventies e, dopo la sbarazzina “
Love on the other side”, arrivano il
refrain contagioso di “
Liza” (brano che non sfigurerebbe nel repertorio dei migliori
songwriters “adulti” d’oltreoceano ...), la grinta raffinata (vagamente Bad English-
iana) di “
Life`s been good to you & me” e il felpato romanticismo della
title-track a suggellare un albo piuttosto convincente e avvincente.
Un caloroso
bentornato (altro vocabolo assai inflazionato …) è dunque d’obbligo, auspicando il meritato rilancio di una
band che, anche in tempi di diffuso e affollato
revival, può dire la sua in fatto di tensione emotiva e consistenza artistica.
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