È una proposta a dir poco eterogenea quella degli italianissimi
ifsounds. Pure troppo.
Giunti al ragguardevole traguardo del sesto album in quasi 20 anni di carriera, la band molisana ha dalla sua un indiscutibile bagaglio tecnico e un approccio “creativo” al rock, che però spesso si riflette in una sorta di “eccessiva fiducia” nei confronti dell’ascoltatore, disorientato dalle molteplici influenze che caratterizzano
“An Gorta Mór”.
Il concept ispirato
“all’olocausto irlandese di metà XIX Secolo che portò l'Irlanda a perdere circa un terzo dei suoi abitanti tra morti per denutrizione ed emigrati in fuga dalla fame”, parte in quarta con la rocciosa
“Mediterranean Floor”, a cavallo tra
Dark Quarterer,
Airbag e
Moongarden - per non parlare di una sana dose di Rock Progressivo Italiano “classico”. La spigolosa
“Techno Guru”, con le sue timbriche emersoniane, rievoca Area e Acqua Fragile, in contrasto con la successiva, melodica e acustica
“Violet”. Si torna a picchiare duro con
“Reptilarium”, heavy e sofferta come un blues, ma dalla coda sinistra, ipnotica e recitata in lingua madre con un
Runal sugli scudi.
Storia a sé fa la conclusiva titletrack, caleidoscopio di sonorità non sempre equilibrato e ostico in più di un frangente: si passa da scenari bucolici a groove indie/alternative, da sprazzi crimsonici a galanterie care ai
Marillion, dal prog più canonico infarcito di synth invadenti a piano/voce di memoria Hammilliana, da momenti simil-Braveheart ad altri simil-morriconiani, dalla musica colta con cantante lirica da ciclo dantesco dei
Tangerine Dream a cori festosi da pirati all’Oktober Fest. Insomma, davvero tanta roba per “appena” 20 minuti di musica…
Una prova sicuramente sufficiente, ma densissima e proprio per questo non alla portata di tutti.
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