Quando si parla dei
Behemoth, o meglio dei
Behemoth attuali, non è mai semplice iniziare una discussione.
Si può partire dal tentativo sempre più ardito di coniugare in un unico progetto musica, arte visuale, iconografia magico-rituale, anticristianesimo. Oppure dalle indubbie e spiccate doti imprenditoriali di
Adam “Nergal” Danski capace di far crescere esponenzialmente la propria band fino a farla diventare una delle principali del rooster
Nuclear Blast.Sostenuto da un budget molto importante, siamo stati letteralmente inondati dalle notizie riguardanti
“I loved you at your darkest”, per non parlare della messa in onda di ben tre video realizzati in maniera altamente professionale –
“God = dog”, “Wolves ov Syberia” e “
Bartzabel” - che mostrano in pieno l’impegno profuso dall’etichetta tedesca nello spingere la band polacca.
O ancora fare un discorso che abbraccia entrambi gli aspetti.
Personalmente mi aspettavo un passo in avanti rispetto a
“The satanist”, album di transizione o di passaggio che dir si voglia, mentre, a conti fatti, ci troviamo un album che ancora non mostra quella trasformazione in atto nella band polacca. Se l’intento di
Nergal è quello di creare una summa theologica inversa, dove le immagini e i testi indicano il percorso da seguire e la musica è il mezzo tramite il quale veicolare la sua personale visione di satanismo, bisogna dire che la ciambella non è riuscita con il buco.
“ILYAYD” spesso pecca in quella solennità rituale che dovrebbe essere uno degli assi portanti del disco, alcuni brani segnano un passaggio a vuoto o non trasmettono, non trasudano quella sensazione di potenza o malvagità che uno aspetta di trovarsi fra le mani.
Perché accanto ad una
“Havohej pantocrator” o
“Bartzabel” che funzionano, ti ritrovi una “
If crucifixtion is not enough” o
“Rom 5:8” che lasciano dentro un palpabile senso di perplessità. Se poi qualcuno pensa che utilizzare un coro bianco in “
Solve “ e
“God = dog” serva a trasmettere disturbo e blasfemia, mi vien da dire che si turba davvero con poco e che basta scavare indietro nel tempo per trovare oscenità ben più pesanti.
Tuttavia è altrettanto vero che quando i
Behemoth decidono di picchiare lo fanno ancora con convinzione.
“Wolves ov Syberia” degnamente apre le danza di
“ILYAD”, un brano costruito secondo schemi stracollaudati, non ha nulla in più di quello che serve, e promette di essere uno dei punti di forza del nuovo lavoro in sede live. Così come la successiva
“God = dog” che – croccantini e coro bianco a parte – ricorda ancora i “vecchi” e tellurici
Behemoth, quella compatta macchina da guerra che ha saputo guadagnarsi i galloni sul campo sfornando un disco più ispirato dell’altro per un decennio abbondante a cavallo dei due secoli.
Se poi utilizziamo la mai abbandonata divisione dei brani in lato A e lato B, la sensazione è che la seconda parte del disco sia meno convincente della prima e che
“ILYAYD” si apra meglio di come si chiuda.
Rimane la curiosità, quella sì, di vedere l’accoglienza dei nuovi brani in sede live - i Behemoth sono una garanzia in questo senso – accanto a pezzi storici quali
“Chant from eschaton 2000”, “Christians to the lions”, “As above so below, “Antichristian phenomenon” e tanti altri che hanno fatto la storia della band polacca, ma per quello basterà attendere fino a gennaio 2019 quando faranno tappa a Milano. E come sempre noi saremo spettatori attenti.