In un ipotetico esecutivo della
Repubblica del Death Metal Scandinavo, difficilmente verrebbe accordato agli
Obliteration uno dei dicasteri nevralgici.
Prima di loro, infatti, andrebbero piazzati nomi ben più “pesanti” e blasonati, senza contare che i Nostri, incluso quello in esame, vantano a
curriculum solamente quattro
full length -in ogni caso meglio un
curriculum esiguo ma onesto rispetto ad uno corposo ma taroccato, e ci siamo capiti-.
Fosse per me, tuttavia, un posticino per loro nella compagine governativa vedrei di trovarlo, magari al
Dipartimento per le pari opportunità: in fondo discettiamo di una band di
death metal classico inserita in un contesto socio-geografico (
Kolbotn, in
Norvegia) che più
black metal non si può.
Chi meglio di loro, dunque, potrebbe dimostrare quanto sia miope soppesare un gruppo sulla scorta della sua provenienza, e quanto sia invece doveroso formare il proprio giudizio basandosi unicamente sulla meritocrazia musicale?
Il nuovo “
Cenotaph Obscure” afferma a chiare lettere una verità difficilmente sindacabile: se si parla di qualità, gli
Obliteration confermano di potersela giocare ad armi pari con pressoché ogni più noto collega svedese, e sotto ogni profilo:
- i suoni ottenuti da
Martin Ehrencrona agli
Studio Cobra strabiliano per efferatezza ed organicità;
- i temi distopico/apocalittici trattati nelle
lyrics (brillantemente rappresentati dall’
artwork di copertina) sapranno trasportarvi in dimensioni parallele popolate di civiltà estinte e portali interdimensionali;
- la prestazione di ogni singolo musicista coinvolto andrebbe lodata (se non per il livello tecnico quantomeno per la ferocia esecutiva), ma un plauso particolare va senz’altro ai marcescenti assoli del chitarrista
Arlid Myren Torp ed al
growling di
Sindre Solem, sorta di profeta impazzito del
Dio della Morte, capace di infondere in ogni nota una impagabile dose di sanguinolento squilibrio mentale.
Il
songwriting, come immaginerete, non è da meno: partiture contorte e malate si susseguono senza smarrire mai il bandolo della matassa, mentre ritmi infernali si alternano a lugubri rallentamenti di matrice
doom (da sempre
trademark sonoro dei quattro norvegesi); il tutto senza ricorrere a minutaggi eccessivi o arrangiamenti arzigogolati, ma anzi rimanendo fieramente abbarbicati alla tradizione del genere.
Da cotanta sapienza non possono che scaturire putride perle di occultismo sonoro: penso alle sulfuree atmosfere di “
Onto Damnation”, alle dolorose dissonanze di “
Eldritch Summoning” o al
riffing schizofrenico di “
Tumulus of Ancient Bones”, senza obliare “
Detestation Rite”, formidabile anteprima che mi aveva già fatto salivare come un novello cane di
Pavlov un mese abbondante prima dell’uscita del disco.
Per quanto mi riguarda, “
Cenotaph Obscure” merita di essere considerata opera di grande spessore, cui manca davvero un nonnulla per raggiungere lo status di
top album ed i vertici assoluti della scena.
Bravi
Obliteration: se nel 2018 la
Repubblica del Death Metal Scandinavo gode di buona salute, il merito è anche vostro.
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