Ero proprio curioso di scoprire quale abito avrebbero indossato gli
Haken in occasione del nuovo
“Vector”. Con
“Affinity” i nostri ci avevamo dimostrato di non avere paura di cambiare strada, passando dal concept d’atmosfera di
“The Mountain”, a un disco più concentrato sulla forma canzone, con addirittura qualche concessione
catchy.
La domanda, alla fine, è sempre quella: si può cambiare e restare comunque se stessi?
In questo senso
“Vector” porta avanti le peculiarità del sestetto britannico, ma ce ne mostra anche il lato più cupo e pesante che fin qui non avevamo ancora sentito. Basta l’inquietante
“Clear” per capire che stavolta non ci aspetteranno pezzi come
“Earthrise” o
“1985”.
“The Good Doctor” - anticipata dal video e dai vari servizi di streaming - è forse il pezzo più semplice del disco (una frase che lascia il tempo che trova nel caso degli
Haken): una strofa molto ritmata, un ritornello orecchiabile, una parte strumentale impressionante (la prima di una lunga serie) ed il gioco è fatto.
Da
“Puzzle Box” il gioco si fa più serio: quasi otto minuti di prog tecnico, cupo e pesante, un break elettronico tesissimo, e la splendida chiusura, finalmente luminosa. La monumentale
“Veil” - con i suoi dodici minuti di durata (è il pezzo più lungo del disco) - si dispiega tra innumerevoli cambi, riuscendo nella non facile impresa di non far perdere il filo all'ascoltatore.
“Nil By Mouth” è un ottimo brano strumentale dove gli
Haken danno sfoggio del loro impressionante arsenale tecnico. Il brano separa - o almeno questa è stata la mia impressione - la parte più rocciosa del disco da quella più intimista.
Ecco infatti arrivare
“Host”, con la sua introduzione quasi jazzata - sicuramente il pezzo più particolare del disco - una sorta di ballata fumosa e disperata. Applausi. Si chiude con
“A Cell Divides”, brano nel quale troneggia la voce-strumento del bravissimo
Ross Jennings.
È una sferzata decisa quella che la band imprime al suo cammino con
"Vector", scegliendo - come già anticipato - registri emozionali decisamente diversi da quelli a cui ci aveva abituato. Ma dopo qualche ascolto il disco si infila sotto la pelle e non ti lascia più. E gli
Haken ottengono tutto questo senza rinunciare all’approccio smaccatamente tecnico che da sempre li caratterizza.
Sì, gli
Haken sono cambiati, ma li riconosceresti lontano un miglio.
A cura di Paolo "Pera" Perazzani