1986. Grazie ad una breve intervista con
Terry Gorle sul terzo numero della
gloriosa fanzine Metal Caos il sottoscritto entra in contatto con il “mondo”
Heir Apparent, riuscendo da lì a poco a procurarsi, non senza difficoltà, "
Graceful inheritance”, uno di quei capisaldi dell’
US metal inossidabili all'inesorabile trascorrere del tempo.
1989. E’ stavolta una recensione su
Metal Shock a interrompere il velo d’ingiustificato silenzio calato sull'operato di un gruppo stranamente confinato all'anonimato nonostante gli ampi consensi. “
One small voice” (contenente una sontuosa versione di “
The sound of silence”) è un lavoro abbastanza diverso dall’esordio, ancor più “contagiato” dal successo degli illustri concittadini Queensryche e non per questo debole o pavido, splendidamente articolato e dal
mood ombroso e visionario.
2018. Il
Boss di un’altrettanto
gloriosa webzine, ormai diventato anche un'acclamata
Star di
Youtube, consente a questo
attempatello (e di conseguenza, ammettiamolo, un po’ “nostalgico” …)
musicofilo di analizzare “
The view from below”, il ritorno all’attività discografica (nel frattempo c’era stata la raccolta di rarità “
Triad”) di una delle sue (tante) formazioni di “culto”, che ritiene avrebbe meritato molto di più di quanto effettivamente ottenuto.
Ed ecco che, con la consueta dose d’ansia che fatalmente accompagna tali circostanze, mi accingo alla disamina ritrovando la formazione degli
Heir Apparent divisa tra la sua “storia”, rappresentata dai membri originali
Terry Gorle,
Derek Peace e
Ray Schwartz (nonché dal produttore
Tom Hall), e piccole ma importanti novità, con le
new entries Op Sakiya e, soprattutto,
Will Shaw, chiamato all’ingrato compito di non far rimpiangere chi l’ha preceduto (specialmente l’eccellente
desaparecido Steve Benito) nel ruolo di primo propagatore dell’emozione.
Il disco si apre con “
Man in the sky” e succede qualcosa di “strano” e di magico… il cuore torna agli anni ottanta e la mente deve ammettere che certi suoni sono davvero “senza tempo”, soprattutto se le atmosfere nebbiose e sospese del pezzo in questione ti avvolgono in una avvinghiante stretta emotiva, dominate dalle suggestive trame chitarristiche di
Gorle e dalle sentite interpretazioni di
Shaw.
La successiva “
The door” è maggiormente diretta e istantanea, illumina i sensi attraverso un crogiolo di note pulsante ed evocativo, aggiungendo appena un pizzico di “modernità” a un canovaccio che fonde Queensryche, Drive e certi Fates Warning.
La livida ballata “
Here we aren't” ostenta una sensibilità rara, la stessa che in “
Synthetic lies” si trasforma in una cangiante scheggia di
prog-metal, capace di fondere le inquietudini dei magistrali
Sacred Blade e, ancora una volta, l’arte incommensurabile degli autori di “
Rage for order” e “
Operation mindcrime”.
L’incedere atletico e nervoso di “
Savior” mostra evidenti segnali Maiden-
iani, “
Further and farther” inebria un po’ alla maniera degli straordinari Crimson Glory, mentre “
The road to Palestine” coagula nelle sue arcane ed esotiche fibre sonore brandelli di Black Sabbath, Liege Lord e Warlord, non lasciando scampo a chi nella musica ricerca
grandeur e visioni leggendarie.
I sei minuti di “
Insomnia” ci regalano uno splendido epilogo dell’opera, che si materializza con le sembianze di un frammento di appassionante
prog-power-metal, scandito da una melodia seducente incastonata nel consueto clima di grande potenza immaginifica.
Fare i conti con il proprio “passato”, soprattutto se è stato tanto avvincente quanto travagliato, è sempre un’impresa ardua ma con “
The view from below” gli
Heir Apparent hanno saputo farlo meglio di molti altri, consegnandoci un albo di elevato spessore artistico.
Keep the candle burning!