Martyr Lucifer è al tempo stesso il nome di un cantante/musicista italiano (noto anche per la militanza in Hortus Animae e Space Mirrors) e quello di un progetto musicale ad ampio spettro nato nel 2011 con l’intento di esplorare sonorità in bilico fra
alternative,
dark-wave e
gothic.
Giunto con questo “
Gazing at the flocks” (bellissima la veste grafica) alla terza testimonianza discografica, forte di una
line-up internazionale (
Leìt è ucraina,
Adrian Erlandsson, At the Gates ed ex-Paradise Lost, è svedese, mentre
Naagarum è ungherese), il gruppo propone, in effetti, una godibile mistura di suoni oscuri e tenebrosi, densi di simbolismi e misticismo, edificati sulla profonda voce del
leader e su composizioni di buona fattura, congeniate in modo da attrarre piuttosto agevolmente l’attenzione dell’ascoltatore appassionato.
Il programma dell’opera si sgrana evocando nella memoria brandelli di Tiamat, Giants Causeway, Sisters Of Mercy e The Cure, ma una sufficiente personalità e il buongusto della
band evita l’effetto “parodia” e, nonostante una certa aderenza a soluzioni espressive molto inflazionate, il risultato finale può dirsi piacevole e coinvolgente.
Strutture armoniche vellutate e ipnotiche, che all’occorrenza sanno anche graffiare, compongono un impasto sonico che irretisce a poco a poco e, alla stregua di una bruma che sale lenta e inesorabile, avvolge e incanta pilotato dalle laringi maliose di
Martyr Lucifer (dalle nobili sfumature
Bowie-ane) e di
Leìt, la quale aggiunge un fascinoso (sebbene non inedito …) contributo di algida sensualità femminile al sortilegio in note.
Sondare gli abissi dei sentimenti e delle dinamiche psicologiche dell’essere umano, con un approccio quasi scientifico e “zoologico”, costituisce la base concettuale su cui costruire brani magnetici come “
Veins of sand”, enfatici e adescanti come “
Bloodwaters” o ancora striscianti e lisergici come “
Feeders”, per poi lasciare che in “
Leda and the swan” siano impulsi elettronici e morbosi sussurri (nella prima parte del brano) e una poderosa e dolente trama strumentale (nella seconda) a proseguire nell’opera di soggiogamento.
“
Wolf of the gods” e “
Somebody super like you” svelano il lato più
groove-oso della formazione, “
Benighted & begotten” sprofonda nuovamente nello
spleen e “
Spiderqueen” piace per il tocco
pop immerso in un clima fatto di malinconia e ombre.
L’apocalittica (e un po’ caotica) “
Flocks” e la leziosa “
Halkyone legacy” sono gli ultimi due frammenti di un disco a volte leggermente autoindulgente e manieristico, e ciononostante non privo di spunti intriganti, a conferma di un percorso artistico ben indirizzato, da cui potersi aspettare interessanti evoluzioni.
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