Questo disco degli spagnoli Forever Slave si dimostra come una ghiotta occasione per affrontare ancora una volta una questione piuttosto frequentemente dibattuta e che in questo caso riguarda il symphonic gothic metal, ma che potrebbe essere estesa anche a molti altri generi musicali: quali possibilità d'affermazione ci possono essere per gruppi che decidono di dedicarsi a stili così inflazionati ed affollati se la loro esibizione, pur di buonissimo livello tecnico/compositivo e dotata di più che discrete prerogative lirico/attitudinali, ricalca in modo molto evidente buona parte di quei cliché che hanno imposto i loro fondatori e, subito a ruota, contraddistinto una ridda numerosissima di più o meno validi epigoni?
Personalmente ritengo che esistano alcuni stilemi sonori che sopportano meglio di altri la pressoché assoluta riproposizione dei loro schemi fondamentali (penso, ad esempio, all'hard rock "classico") e che quello che gli iberici hanno scelto di utilizzare per la propria espressione artistica non sia esattamente uno di quelli, ma ovviamente si tratta di un'opinione squisitamente personale e se viceversa questa sorta d'ennesima (ma assolutamente competente, sia ben chiaro) rilettura del metallo gotico più "familiare", con cantato femminile soprano alternato a grunt maschile, chitarre aggressive e ritmiche incalzanti in contrasto a melodie ed ambientazioni sinfoniche, decadenti, oscure ed inquietanti, tessute con il contributo importante delle tastiere e quello (alquanto prezioso) del violino, non Vi crea problemi d'invadenti deja-vu e anzi, è proprio quello di cui i Vostri sensi amano nutrirsi quotidianamente senza troppe complicazioni o particolari ricerche d'innovazione, "Alice's Inferno" potrebbe veramente fare al caso Vostro.
Come già detto, infatti, la coerenza dei Forever Slave appare abbastanza spontanea e non forzata e tale tesi viene anche confermata dall'affascinante concept testuale che sostiene la loro musica ("liberamente" ispirato ad "Alice nel Paese delle Meraviglie" di Lewis Carroll e alla "Divina Commedia" del nostro Dante), ad ulteriore dimostrazione di un approccio non (troppo) superficiale alla "materia gotica".
La voce ammaliante di Lady Angellyca (sostenuta anche da un buon phisique du role) ci conduce in questo mondo etereo e caliginoso fatto di sonorità corpose, avvolgenti e discretamente coinvolgenti dove l'attraente afflato dark di "Reminescences", l'obliqua e solenne "In the forest", le ottime "The circles of tenebra" e "Dreams and dust" (che mi hanno dato l'impressione di assistere ad una specie di contrapposizione tra "peccato" e "redenzione"), seguite dalle discretamente conturbanti "Equilibrium", "Across the mirror", "Tristeza" e "The letter" (lodevole l'interpretazione vocale), riescono nonostante tutto a farsi apprezzare.
Per le sue qualità complessive, la valutazione non può che essere pienamente positiva e come primo passo discografico può risultare anche abbastanza convincente ... certo che i dubbi su questa conformità piuttosto evidente permangono in modo molto pressante. Bravi, ma temo che senza un affrancamento da certi stereotipi i Forever Slave continueranno ad essere solamente un gruppo come tanti altri e ciò sarebbe un peccato visto che il gothic avrebbe davvero bisogno di "sangue nuovo" capace di farlo risorgere dalle oscurità creative in cui è purtroppo sprofondato e non credo che siano quelle le "tenebre" di cui ha bisogno per tornare ad essere vincente.
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