Otto anni fa una sconosciuta e giovane band svedese di Umea incise il suo debut album per la nostrana Scarlet Records: il nome del disco era "
Night is Young" e fu per un purissimo caso che ebbi modo di ascoltare il cd, dato che la recensione fu assegnata al mio collega di allora - anche in anni precedenti nell'avventura a Metal Shock - Michele Marando che lo liquidò con un inglorioso 5 della serie "uguali a mille altri".
Una volta venuto a contatto con i
ROYAL JESTER fu impossibile per me non piazzare una seconda recensione che facesse giustizia a quello che a mio avviso era un validissimo disco di power metal certo abbondantemente dentro tutti gli stilemi del genere (e vorrei anche vedere) ma anche assai personale, soprattutto a causa di un'aura di malinconia ed una nemmeno troppo velata negatività che fra cavalcate power e linee vocali accattivanti creavano un sound quasi unico, tra ottimi virtuosismi chitarristici ed un gusto per la melodia sempre sopraffino.
Un disco che, nonostante i miei continui ascolti ogni mese in questi 8 anni trascorsi e la presenza di uno dei brani power metal più belli della storia del metal come "
If You Were Mine", non ha avuto la minima considerazione: la band è scomparsa, il contratto è stato stracciato (non senza qualche polemica) e così girovagando tristemente su Youtube in cerca di qualche vecchio brano e magari qualche improbabile cover di vecchi aficionados come me mi sono inaspettatamente imbattuto nel teaser del nuovo disco "
Breaking the Chains": incredibile ma i Royal Jester erano tornati, decisi a riprendere dal punto in cui si erano fermati.
Felicissimo da una parte, ma terrorizzato dall'altra: spesso i ritorni producono risultati imbarazzanti o comunque almeno sotto le aspettative. Macchè!
Mattias Lindberg e soci sono riusciti nella titanica impresa di confezionare un lavoro perlomeno all'altezza del precedente, conservandone tutte le peculiarità e migliorando qualche elemento, come la produzione che era uno dei talloni di Achille di "Night is Young" (insieme al criticabile look, anch'esso oggi del tutto risolto).
La partenza di "
Power Metal Never Dies"; una dichiarazione di intenti più che un brano, è di quelle epocali: questa band non avrà mai alcun successo a livello commerciale, ma nei cuori di chi SENTE e VIVE l'heavy metal questo brano rimarrà marchiato a fuoco in maniera indelebile:
POWER METAL NEVER DIES
POWER METAL FOREVER!
SO WE SPREAD OUR WINGS UP HIGH AND LET THE DARKNESS PASS US BY
CAUSE NO MATTER HOW HIGH THE PRICE THE FLAME WILL ALWAYS RISE...POWER METAL NEVER DIES!!!"
Senza scherzi, uno dei brani power metal al di fuori dei caposaldi del genere che mi ha più impressionato per qualità, potenza, melodia, linee vocali e la splendida voce peraltro anche molto riconoscibile di Lindberg che, per chi non lo sapesse, è stato batterista in due bellissimi dischi dei
ReinXeed di Tommy Johansson come "
The Light" e "
Majestic", rispettivamente 2008 e 2010.
La prima metà di "Breaking the Chains" è commovente, "
Here We Are" ha un tiro che se oggi se lo sognano gli
Hammerfall cadono dal letto e nella vecchia ma sempre funzionante accoppiata bridge + chorus sembra davvero di ascoltare una vecchia e gloriosa prestazione di
Joacim Cans, oltre agli assoli sempre funambolici e di ottimo gusto della coppia
Allard/Viklund, anche quest'ultimo impiegato 10 anni fa in tre episodi dei Reinxeed come bassista. La seguente e più cadenzata "
Forevermore" è un altro pieno centro, in cui tutte le atmosfere care ai Royal Jester vengono prepotentemente fuori, con vari rimandi alla meravigliosa "
Born Again" del primo disco, ma è proseguendo che si trova un altro capolavoro a nome "
From the Ashes", in cui echi di vecchi
Nocturnal Rites - anche loro di Umea... - si mischiano ad elementi epici per sfociare in uno dei chorus più coinvolgenti e riusciti, impossibile resistere!
Se "
Long Way Home", una ballad quasi fuori contesto benchè gradevole, e la brevissima rockeggiante "
Lightning Strikes" sono leggermente sotto la media di "Breaking the Chains", ci pensano gli altri brani a rimettere tutto in carreggiata, partendo dalla grave e pesante "
Sands of Time", dalla più scanzonata "
Cry On Forever" che mi ha riportato alla mente qualcosa dei primi
Edguy, fino alla magnifica doppietta finale "
March of the Jester", dall'incedere drammatico e con un crescendo davvero intenso, e la conclusiva "
Time of Our Lives" dalla doppia anima, con una partenza che sembra fatta di nubi nere all'orizzonte ma che sucessivamente vengono squarciate da un'inaspettato squarcio di luce solare nell'indimenticabile chorus, ancora una volta emozionante, trascinante e che ci rende fieri di ascoltare questa musica.
Per tutti coloro che hanno amato il power metal di fine anni '90 ed inizio 2000, per chi non riesce a comprendere ed accettare quella deriva attuale così finta e plasticosa che i trend hanno imposto, oggi tutti noi abbiamo qualcosa in più a cui credere, a cui appoggiarci, per cui esaltarci.
Non commettiamo nuovamente lo stesso errore di 8 anni fa.