Dopo “qualche” anno di frequentazione appassionata del rutilante mondo del
rock n’ roll, sono giunto a formulare il seguente “ardito” postulato … un disco che è difficile da inquadrare nelle categorie ricorrenti merita un plauso già a priori e conquista in maniera perentoria la mia attenzione.
Un concetto abbastanza banale che però nei tempi recenti non ha avuto moltissima applicazione, in una scena musicale di buon livello ma di certo non molto “imprevedibile”.
E’ con gran piacere che accolgo dunque questo “
Disincanto” degli
Opera Oscura, un lavoro che mi consente di rispolverare il suddetto assioma e di inoltrarmi in un ascolto che, acquisiti interesse e favore, per ottenere l’incondizionato benestare del mio affaticato apparato
cardio-uditivo, deve inevitabilmente raggiungere i centri nevralgici dell’emozione.
Ebbene, il gruppo romano guidato da
Alessandro Evangelisti (tastierista e compositore) e
Alfredo Gargaro, (chitarrista noto per la militanza negli Exiled On Earth e per aver lavorato con i Rosae Crucis) dimostra un’innata abilità nel mescolare cultura, perizia esecutiva e inquietudine senza eccedere in seriosità e manierismi, flirtando al contempo con la musica classica e operistica, il
dark, il
progressive e il
metal, a comporre un crogiolo sonoro estremamente affascinante in cui tali definizioni stilistiche finiscono per perdere ogni eventuale significato settarico.
Italiano e inglese, mito e realtà, letteratura e poesia, cinema e arti visuali (bellissimo l’
artwork) si aggiungono poi a formare un quadro complessivo di grande forza evocativa, dove scorgere le effigi di The Trip, Banco Del Mutuo Soccorso e dei migliori interpreti della scuola “oscura” del
prog nostrano (dal Balletto di Bronzo ai Nuova Era), di King Crimson e Genesis, di Savatage, The Gathering e Riverside come plausibili e tuttavia mai “ingombranti” riferimenti artistici.
Segnalando l’importante contributo della maliosa
Francesca Palamidessi e degli altri eccellenti musicisti che hanno preso parte all’albo, non resta che soffermarsi sulla leggiadra e tragica narrazione di “
A picco sul mare”, sulla languida e drammatica “
Il canto di Sirin” (molto bella anche la voce vagamente
Kate Bush-iana di
Serena Stanzani), sulla potente invettiva dai vibranti tratti esotici “
Gaza” e ancora su “
Dopo la guerra”, ideale prosecuzione del tema precedente, sospeso tra rabbia e speranza.
Le porzioni esclusivamente strumentali del disco rivelano un’analoga capacità immaginifica anche in assenza della parola, affidando alle cangianti scorie metalliche di “
La metamorfosi dei sogni”, alle pulsazioni
progressive di “
Pioggia nel deserto” e alla pianistica “
Resti” il compito di completare il magnetico e conturbante universo espressivo degli
Opera Oscura, un labirinto emozionale e intellettivo fuori dalle mode, dalle consuetudini e dal tempo, degno di quella considerazione che si concede a chi non si accontenta dell’ovvio e non smette di ricercare una strada “diversa” per raggiungere il cuore e la mente degli appassionati di musica.
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