Blod = sangue
Skam = vergogna
Unite i due vocaboli svedesi e ne otterrete uno che significa “incesto”; aggiungete al puzzle il tassello del titolo (un “laggiù” che temo alluda a parti intime) e quello della bio (“la storia dei
Blodskam nasce nel 1998, allorquando i fratelli
Aghora e
Dödfödd decisero che era tempo di rendere pubblica la follia della loro famiglia”)… e otterrete un quadro dalle tinte oltremodo fosche, tanto che vorrei evitare di lanciarmi in raggelanti congetture circa i trattamenti ricevuti dal duo.
Quantomeno, i Nostri hanno deciso di utilizzare la musica quale valvola di sfogo, e neanche sforzandomi riesco ad individuare uno strumento più efficace del
depressive black metal per veicolare sentimenti quali psicosi, alienazione e paranoia depressiva.
“
Là-Bas”, in effetti, esplora con buon costrutto i meandri già percorsi da
acts quali
Shining o
Forgotten Tomb, optando per brani tendenzialmente asciutti (sia a livello di struttura che di durata),
riff corposi ed essenziali (oltremodo parsimonioso l’utilizzo del
tremolo picking) e ritmi medi (ancor più parsimonioso il ricorso al
blast beat), condendo il tutto con un
modicum di melodia malata, che non guasta mai.
Un approccio, quindi, piuttosto viscerale alla materia del
DSBM, ulteriormente rafforzato da pulsanti linee di basso e dalla produzione, schietta anzichenò, ottenuta da
Johan Hjelm ai
Misfortune Recorders Studio.
Produzione che riesce peraltro a conferire grande nitidezza al
sound -senza però sacrificare l’approccio
raw dei
Blodskam- tanto che, per una volta, sono riuscito a comprendere quasi per intero lo
screaming di
Dödfödd pur non avendo le
lyrics sotto mano.
Come immaginerete, non si canta di prati fioriti: allucinazioni indotte dalle droghe, infiniti corridoi di istituti d’igiene mentale, stanze vuote ma ricoperte di sporcizia sono alcune delle ridenti immagini che incontrerete nei testi di “
Là-Bas”, in cui, tuttavia, non sempre assistiamo ad una efficace trasposizione in note di cotanto disagio mentale.
Certo, pezzi come "
God in a Straitjacket" o “
Routines” sanno esprimere il malessere dei musicisti, ma mancano, a mio avviso, di quella dose di schizofrenia compositiva che ha reso grandi
band quali
Betlehem o
Lifelover.
Si poteva forse osare di più sotto tale profilo, posto che i
Blodskam stessi hanno dichiarato di aver impiegato anni a rifinire e perfezionare i pezzi che compongono il
platter.
Se a tale prevedibilità di fondo aggiungiamo taluni passaggi poco incisivi o tirati troppo per le lunghe (penso
in primis alla fase centrale di “
My Home” ed all’
incipit della
title track) raggiungiamo un risultato complessivamente apprezzabile, ma senz’altro perfettibile in ottica futura.
A risentirci…
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