Minimo tre / quattro volte a settimana per almeno due anni filati (al netto delle vacanze estive).
Questa l’infernale frequenza con cui, da ragazzino, ero solito consumare la videocassetta di “
The Goonies”, piccolo capolavoro d’intrattenimento giovanile firmato
Richard Donner.
Così, una volta appreso di un
concept dedicato alla pellicola, ho superato le diffidenze “di genere” -nessuna allusione sessuale: semplicemente il
power, pur piacendomi, non rientra tra le branche metal che di solito copro in veste di recensore- e mi sono fiondato all’ascolto, mosso da notevole curiosità.
Va da sé che l’operazione presenti una discreta dose di
nerdaggine e sia tesa alla
captatio benevolentiae di chi, come il sottoscritto, ancora subisce il fascino esercitato dall’immaginario anni ’80; d’altro canto, gli
Skeletoon non fanno affatto mistero di esser
nerd, ma anzi ne traggono vanto al punto di autodefinire la loro proposta “
nerd metal”, quindi dobbiamo riconoscere l’onestà intellettuale di chi gioca a carte scoperte.
Quanto alla paraculaggine… chi se ne importa, purché il tributo sia sentito e ben fatto.
E “
They Never Say Die”, per chi scrive, è
molto ben fatto.
Le coordinate sono presto dette: ci troviamo di fronte ad un
power notevolmente
happy che, sorvolando sulle ovvie influenze
helloweeniane, ha molto a che spartire coi connazionali
Trick or Treat, senza dimenticare un pizzico (o forse qualcosa in più) di
Edguy.
Perimetro sonoro piuttosto angusto, questo è chiaro, ma d’altra parte ho fondato motivo di ritenere che quella dell’originalità non fosse un’esigenza artistica particolarmente sentita dai Nostri, né tantomeno una caratteristica ricercata dai potenziali fruitori del
platter…
Quindi a posto così, non vi pare?
Circoscritto il campo d’indagine, non resta che tessere le lodi di un’opera non solo in grado di confermare quanto di buono messo in mostra nei due precedenti lavori (“
The Curse of the Avenger” del 2011 e “
Ticking Clock” del 2017, entrambi ampiamente positivi), ma addirittura di proiettare l’italico quintetto a ridosso dei vertici della scena.
I brani di “
They Never Say Die”, infatti, sanno divertire ed appassionare, si fregiano di melodie fresche ed accattivanti, mettono in mostra buona perizia esecutiva (davvero efficaci gli assoli di chitarra) e calibro negli arrangiamenti (leggasi tentazioni sinfoniche tenute a bada, quindi niente orchestrazioni pompose, strati su strati di
keyboards e cori a trentordici voci ficcati a casaccio in ogni andito disponibile).
Esemplari anche il mixaggio ed il
mastering a firma
Simone Mularoni (
DGM), il che non guasta.
Ciò che più conta, sotto il profilo compositivo la compagine ligure conferma di saperci fare eccome, tanto nei momenti concitati -fungano da esempio le irresistibili schegge sonore a titolo “
The Truffle Shuffle Army: Bizardly Bizarre”, col
guest vocal Alessandro Conti in grande spolvero, o la liberatoria
title track) quanto nei frangenti maggiormente improntati all’atmosfera –“
To Leave a Land” vi farà venir voglia di innalzare l’accendino-.
Oltre al
corpus del
concept vero e proprio, “
They Never Say Die” sfoggia in chiusura un paio di succulente
bonus tracks: parlo di “
Farewell” degli
Avantasia (caruccia anche in questa nuova veste) e della inevitabile
cover di “
Goonies R Good Enough”, estrapolata dalla colonna sonora originale del film.
La timbrica squillante ed il tono acutissimo che contraddistinguono
Cindy Lauper, di regola, costituirebbero l’incubo canoro di ogni interprete di sesso maschile, ma d’altra parte è proprio questo uno dei vantaggi di cantare
power: l’improbo compito viene affidato all’ospite
Giacomo Voli, che ne esce più che egregiamente.
Giusto una manciata di incespichi (il
chorus del
mid tempo “
Hoist Our Colors” non deflagra quanto sarebbe stato lecito attendersi, mentre a “
The Chain Master” manca un pizzico di sapore) separa gli
Skeletoon da un giudizio ancor più lusinghiero; anche così, comunque sia, trovo pressoché impensabile che gli amanti delle frange
metal più gaie -ancora una volta: nessuna allusione sessuale- possano rimanere delusi.
Se poi vi vien la lacrimuccia nostalgica ripensando ai tracobetti di
Data, ai bisticci della
Banda Fratelli ed alle battutacce di
Mouth, beh… “
They Never Say Die” diventa un acquisto obbligato.
“
Tutto tutto, va bene... vi racconto tutto.
Quando ero in terza ho copiato l'esame di storia; quando ero in quarta ho rubato il parrucchino di Zio Max e me lo sono messo sul mento per fare Mosè alla recita della scuola; quando ero in quinta ho buttato per le scale mia sorella Heidi, e poi ho dato la colpa al cane... Ma la cosa più cattiva è stata quando ho fatto una poltiglia che sembrava vero vomito. La sera sono andato al cinema e ho nascosto la poltiglia nella giacca, sono salito in galleria e poi… poi… poi ho cominciato a fare dei versi così: bleah, bwa, bwa, bwwaaaaaaa...E ho versato quella roba sul pubblico che stava di sotto, e allora è successo un vero finimondo: tutti hanno cominciato a vomitare, e si vomitavano addosso l'uno con l'altro. Non mi sono mai sentito tanto cattivo in tutta la vita”.