Mentre i
rockofili più “navigati” discutono animatamente sulla legittimità del successo dei Greta Van Fleet (senza voler entrare qui nel merito della questione, dico solo che se anche un solo
giovincello, in un mondo infestato da
rap,
trap e da troppa musica
pop inconsistente e plastificata, scoprirà per merito loro la genialità dei Led Zeppelin, dovremmo essere in qualche modo grati ai quattro rampanti americani …), un’altra
band emergente, sospinta dalla critica fino a essere definita “
the future of British rock”, raggiunge con il suo terzo albo la piena maturità espressiva, tanto da far sembrare plausibile la suddetta iperbolica designazione.
Si chiamano
Inglorious e “
Ride to nowhere”, nobilitato dalla saggia produzione di
Kevin Shirley (Led Zeppelin, Aerosmith, …), aggiunge una significativa crescita artistica complessiva a un talento già molto evidente nei lavori precedenti, con un
Nathan James che, ormai pienamente consapevole e padrone delle sue non comuni capacità vocali, interpreta con enorme trasporto un lotto di canzoni dal grande spessore emozionale, capaci di puntare dritte allo stomaco, per poi risalire inesorabilmente fino a inondare cuore e cervello.
Nel programma dell’opera c’è tanta energia, sensibilità e autorevolezza, tanto amore e rispetto per un suono immortale, all’interno del quale iniettare dosi imponenti di linfa vitale, necessarie per rendere Whitesnake, Rainbow e Alter Bridge numi tutelari importanti ma non fastidiosamente ingombranti.
Così, se il primo esplosivo singolo “
Where are you now”, “
Tomorrow”, ”
Time to go” e la notturna "
I don't know you“ sono in grado di farsi largo a gomitate nei sensi degli ammiratori di
Coverdale & C. (soprattutto di quelli che rimpiangono la sua ormai un po’ affievolita vitalità …), “
Freak show” ostenta un bel
groove dal gusto “radiofonico” contemporaneo e “
Never alone” farà inumidire gli occhi a tutti gli estimatori dell’indimenticabile
Chris Cornell, omaggiato nel migliore dei modi da un
James davvero ispirato.
A conforto di chi sostiene che una voce di livello superiore fa spesso la differenza, arrivano la scalciante “
Queen” e la possente “
Liar”, rigorose e tuttavia molto coinvolgenti anche grazie a un’ugola pregna di ardore e
feeling, seguite da un efficace concentrato di tensione e seduzione intitolato “
While she sleeps” e dalla magnetica
title-track del disco, forse la dimostrazione più lucida di come architetture soniche
tradizionali possano diventare persino
fantasiose, facendo attenzione a non esagerare nel diffusissimo “gioco” delle citazioni.
“
Glory days”, una
ballatona acustica di notevole suggestione (ancora una volta esemplare la prova del cantante …), pone un nobile sigillo su un
Cd di alto lignaggio, in grado di proiettare sul serio gli
Inglorious nel
gotha dell’
hard rock “moderno” … ora speriamo che il pubblico non sia troppo “distratto” da dibattiti un po’ futili per accorgersene.
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