E’ sempre un compito particolarmente arduo dover recensire la nuova uscita discografica di una band che, in un passato più o meno lontano, ha saputo scrivere delle pagine indelebili o dei capitoli memorabili all’interno del magnifico libro della musica metal, perchè il rischio di imbattersi in inopportuni paragoni nei confronti di quei gloriosi anni ormai perduti nel tempo, è assai elevato ed in fondo tali confronti sono fini a sé stessi in quanto si sa, il passato è qualcosa di non tangibile, che esiste solamente nella nostra memoria e nel profondo della nostra anima, qualcosa che ci ha inevitabilmente segnato, ma che non può e non deve impedirci di guardare al presente, senza cui non c’è futuro.
Nel caso specifico dei
Queensryche (come per i loro “amici-rivali” di sempre
Dream Theater, del resto), i suddetti impietosi confronti si verificano puntualmente in concomitanza con l’uscita di ogni nuovo album in studio, e non hanno mai risparmiato aspre critiche (a volte eccessivamente ingenerose, ma in altre circostanze giustificate) nei riguardi di una band che, vale la pena ricordarlo, ha sempre avuto un approccio di stampo progressivo nei confronti del metal, pertanto era impensabile che potesse mantenere immutato il proprio sound per un lasso di tempo esteso, questo ha finito inevitabilmente per scontentare i fans di vecchia data, permettendo tuttavia di acquisirne degli altri. Per questo motivo, nel corso di tutti gli anni ’90 e nel successivo decennio, i detrattori del combo americano si sono spesso divertiti a “sparare a zero” sulla band che invece negli anni ’80 aveva concepito capolavori del calibro “
Rage For Order” e soprattutto l'"opera magna" “
Operation Mindcrime” , ciò che si rimproverava ai
Queensryche di quel periodo erano le eccessive sperimentazioni che avevano gradualmente allontanato i nostri dalla loro direzione musicale originaria e, più in generale, dal metal. Nel 2012 tuttavia si verifica un cambiamento epocale: lo split con lo storico vocalsit
Geoff Tate (una delle migliori voci di sempre, non solo nel metal) ed il suo avvicendamento con
Todd La Torre (ex-
Crimson Glory) che all'epoca fu vissuto come un autentico shock dai fans di vecchia data (gli stessi che curiosamente ripudiavano il "nuovo corso" del gruppo di cui
Tate era leader), ma che, in realtà col tempo, si è rivelato un nuovo inizio per la band che da allora ha confezionato due buonissimi album come il disco omonimo del 2013 e “
Condition Human” del 2015, espressioni sane di uno stile musicale più consono per le caratteristiche del gruppo che, paradossalmente dopo l’uscita dello storico singer (o forse per merito dell’entrata di
La Torre, dipende dalla prospettiva che si adotta), ha acquisito nuova linfa vitale, trovando nuova ispirazione e creatività, e recuperando quel sound più "heavy" che l’aveva resa celebre in passato.
Cosi, dopo questo lungo, ma inevitabile preambolo, arriviamo ai giorni nostri: in questi primi mesi del 2019 ricchissimi di uscite discografiche, arriva anche quella targata
Queensryche intitolata “
The Verdict” che, a ragion veduta, può essere considerato più di tutti “l’album di
La Torre” in virtù del fatto che il buon Todd, oltre ad occuparsi delle linee vocali, ha scritto anche le parti di batteria per l’indisponibilità (non si sa quanto temporanea) dello storico drummer
Scott Rockenfield . A tal proposito, in un’intervista antecedente l’uscita di “
The Verdict” il chitarrista
Michael Wilton ha affermato: “
Quando ha saputo che avrebbe dovuto occuparsi anche delle parti di batteria, Todd aveva la bava alla bocca e non vedeva l’ora di iniziare, ha fatto davvero un ottimo lavoro!”
La particolare vena metallica di
La Torre, già evidente nei precedenti due lavori con la band, emerge sin dalla opener “
Blood Of The Levant” le cui lyrics trattano un tema di attualità molto delicato, ovvero la guerra in Siria, come si evince dal video che proponiamo di seguito. Si tratta di un pezzo diretto, senza tanti fronzoli, melodico quanto basta, ma soprattutto tremendamente aggressivo ed avvincente che trasuda passione, da ogni singola nota suonata e dall'ugola espressiva di
La Torre. il quale dimostra una volta ancora di non aver nulla da invidiare ad un mostro sacro come
Tate. Anche nella successiva “
Man The Machine” si procede a delle velocità quasi inusuali per i canoni dei
Queensryche, le chitarre di
Wilton e
Lundgren sono le vere protagonista del pezzo tessendone la trama tra riffs, assoli ed arrangiamenti veloci ma melodici che vengono impreziositi da una voce incredibilmente bella ed intensa. Si prosegue a passo deciso, senza “abbassare la guardia” nemmeno in “
Light-Years”, brano in cui il giro di chitarra e basso iniziale (ripetuto poi lungo l’intera traccia), di stampo tradizionalmente "heavy-power", graffia come accaduto poche volte nella carriera della band, tuttavia nel cantato, dalle ritmiche sincopate e nel refrain, caratterizzato da una bellissima ed inaspettata apertura melodica, emergono prepotentemente le influenze tipicamente progressive della band, anche se fondamentalmente il pezzo rimane tiratissimo dall’inizio alla fine. Tocca poi ad “
Inside Out” introdotta da melodie arabeggianti in stile “
Myrath” ed anche in questo caso la tensione rimane alta, nonostante la traccia sia indubbiamente molto più introspettiva rispetto alle precedenti ma, non per questo meno intensa, merito anche qui delle chitarre che, tramite arpeggi ed assoli ipnotici, finiscono per rapire l’ascoltatore trasportandolo in una dimensione onirica. Le ritmiche si fanno nuovamente più serrate e pesanti in “
Propaganda Fashion”, una song di poco più di 3 minuti, a dire il vero, forse la meno riuscita dell’intero disco perchè troppo scontata, comunque tutto sommato ben suonata, grazie al martellante lavoro di batteria e al basso di
Eddie Jackson. Tuttavia è la successiva “
Dark Reverie” a catturare sin dall’inizio l'attenzione, grazie alla sua drammaticità crescente ed alle atmosfere malinconiche, enfatizzate da chitarre mai dome che sembrano scavare nel profondo dell’animo umano. Le influenze progressive emergono nuovamente in maniera decisa in “
Bent”, traccia camaleontica, dalle molteplici sfaccettature: la voce di
La Torre più versatile che mai, ora pulita, ora filtrata, la sezione ritmica talvolta lenta e regolare, successivamente sincopata fino a ritrovarsi improvvisamente impazzita e poi le chitarre di
Wilton e
Lundgren che oscillano tra l’aggressività e la melodia. Si torna poi su territori più heavy nelle successive “
Inner Unrest” e “
Launder The Coscience”, entrambi bellissimi brani, in cui la rabbiosa esplosività di voce e chitarre si sposa perfettamente con le linee melodiche che i
Queensryche riescono a rendere ammalianti come poche band sono capaci di fare, anche se le atmosfere rimangono fondamentalmente drammatiche e non concedono molto respiro. Il finale del disco è affidato a “
Portrait “, ed è forse questo l’unico momento all’interno dell’intero album, in cui il ritmo rallenta e la tensione accumulata si lascia andare in un pezzo ipnotico, a tratti pischedelico, ma ad ogni modo piacevole.
Tirando le somme, “
The Verdict” è davvero un ottimo lavoro, il successore ideale dei due precedenti album realizzati con
La Torre alla voce, perfetto per continuare a percorrere la strada che la band ha iniziato a tracciare nel 2012, forse è anche il disco più pesante del nuovo corso, ma senza mai rinunciare a quella vena progressive che ha sempre contraddistinto il gruppo, inoltre quello che maggiormente fa piacere è notare come
Wilton e soci stiano proponendo dei lavori qualitativamente elevati ormai con una ritrovata costanza e questo aspetto ha consentito alla band di riproporsi nuovamente tra i grandi del genere, senza dover costantemente fare i paragoni con un passato lontano ormai più di 30 anni.