A due anni di distanza dal controverso
"Ossidiana", un netto cambio di rotta nella loro produzione, i
Folkstone sono tornati alla ribalta con un disco decisamente più tradizionale, più vicino a quell'
"Oltre...l'Abisso" che tanto fece parlare di sé nel 2014 convincendo tutti del grande valore della band bergamasca.
"Ossidiana", infatti, era stato un album davvero particolare per i Folkstone, più vicino al cantautorato, che aveva scontentato i fan di vecchia data, amareggiati dal cambiamento, ma che aveva raccolto anche altrettanti consensi.
"Diario di un Ultimo", in un certo senso, sembra mettere d'accordo tutti e si presenta come un album simile alle vecchie sonorità
Folkstone, ma anche memore delle sperimentazioni compiute nell'ultimo lavoro. Il risultato è una fusione davvero interessante, un concept che racconta quattordici storie di uomini e donne ai confini della società, ognuno per un motivo diverso, che hanno bisogno di raccontarsi attraverso la musica dei
Folkstone, che si fanno cantori delle loro vite.
Dall'incompreso, al folle, all'uomo controcorrente, a loro stessi, c'è spazio per tutti all'interno di questo album che è dedicato a chi è sé stesso, anche a costo di non essere accettato dai più.
"Astri", primo brano dell'album, è una partenza davvero energica che colpisce subito l'ascoltatore con una struttura davvero sorprendente. Si alternano, infatti, veloci scariche di batteria a rallentamenti con la chitarra acustica e una suadente voce narrante che catalizza l'attenzione completando il pezzo inserendo una citazione di Galileo Galilei, a cui la canzone è dedicata. Un momento davvero alto che conclude un’opener davvero ottima.
Segue subito dopo
"Diario di un ultimo", secondo singolo dell'album e title-track perfetta per rappresentare il sound dell'intero disco. La canzone sembra uscita da
"Oltre...L'Abisso" e l'atmosfera è molto famigliare grazie alla presenza delle cornamuse che rubano da subito la scena. In poche parole, i
Folkstone per come li amiamo sono racchiusi in questa canzone.
"La Maggioranza" è invece, a mio parere, il pezzo migliore del lotto. Una canzone incalzante e dal ritmo indiavolato che è un elogio all'anticonformismo e al pensiero libero, con un riff e un ritornello che impossibili da dimenticare. Ha tutte le carte in regola per diventare un cavallo di battaglia nei futuri live della band.
"Elicriso", con le sue melodie orientaleggianti, presenta un testo davvero interessante, dedicato a chi è considerato pazzo da una società che non si fa problemi a chiamare così chi non è simile a lei. Qui Roberta, voce femminile della band, duetta con Lorenzo, costruendo quasi un dialogo, l’incontro tra un pazzo e chi gli passa vicino. Un pezzo senza dubbio di valore, ma decisamente inferiore ai primi tre, posto come mid-tempo per far riprendere aria dalla furia con cui si era aperto l’album.
Con
"Naufrago" abbiamo la prima delle numerose ballad che si incontrano del disco. Si tratta di una canzone valida, dal buon testo, che descrive la figura disperata di un viandante. Un tema, questo, quanto mai attuale, che rivela come i
Folkstone, pur avendo un’estetica medievale, riescano comunque a parlare di temi senza tempo. Una ballad senza dubbio di valore, la migliore di quelle presenti nel resto dell’album, che purtroppo non avranno la stessa qualità.
"Una Sera", uscita come primo singolo, è un pezzo esplosivo, un vero inno al caos e alla festa. Altro pezzo perfetto per i live e punto alto del disco, sostenuto dalla sezione ritmica di Edo Sala che come al solito non sbaglia un colpo unito alle cornamuse che descrivono un’atmosfera barbara che sembra uscita dall’epoca vichinga.
CAOS, PAZZIA urla Lorenzo Marchesi nel ritornello, e questa canzone trasmette perfettamente questo sentimento. In una parola: epica.
La seconda parte dell’album, purtroppo, non è all’altezza della quasi perfetta prima metà. Le ballad si susseguono una dopo l’altra e il disco subisce un netto rallentamento, anche se pezzi come
"Il Grammo di un’ora" ravvivano un po’ l’atmosfera generale, ma siamo comunque ben lontani dalla furia dei primi pezzi o di
"Una Sera". Inoltre, ho trovato la voce di Roberta, molto presente nelle ballad spesso come cantante principale, meno graffiante di come me la ricordassi negli album precedenti. Più pulita rispetto al passato, a mio parere ha perso molta della sua personalità risultando meno interessante del solito.
I Miei Giorni, pezzo conclusivo dell’album, è una riflessione amara sullo scorrere del tempo, vista dalla prospettiva del gruppo stesso. Una canzone che racchiude l’essenza dei
Folkstone e un ritorno a quelle ritmiche veloci che mancavano nella seconda metà dell’album. Una chiusura ideale, che conclude questo viaggio nella natura umana di cui i Folkstone ci hanno resi partecipi.
In conclusione,
"Diario di un ultimo" è un disco davvero buono ed è il ritorno dei
Folkstone in pompa magna al sound che li ha consacrati come uno dei gruppi più interessanti del nostro paese. Sostenuti da una produzione decisamente all’altezza del loro nome e della loro crescita, che amplifica ogni nota da loro suonata, il gruppo di Bergamo ha messo da parte la lezione di
"Ossidiana" e ha costruito un album dai testi più socialmente impegnati, tra i migliori della loro produzione. Al netto di una seconda parte un po’ lenta, i pezzi forti qui non mancano e a disco finito ci si ritrova con un album fatto di quattordici storie per nulla banali, i cui testi riservano più di qualche sorpresa da scoprire con ulteriori ascolti.
Io, da grande amante della band, non vedo l’ora di rivederli live e non posso che consigliarvi l’ascolto.