Avendo il sottoscritto recensito da poco il terzo lavoro degli svedesi
Meadows End, quel "
Sojourn" uscito in sordina nel 2016 e ristampato l'anno scorso da
Black Lions Records, trovarmi a parlare del nuovo "
The Grand Antiquation" (ancora
Black Lion Records) è stata la cosa più facile del mondo in quanto avevo ancora chiaramente presenti i punti di forza e debolezza dell'ultima release.
Una delle virtù che apprezzo maggiormente in una band, specialmente se sulla scena da parecchi anni (e
Johan Brandberg, Jan Dahlberg, Mats Helli & co. hanno superato i due decenni di attività), è quella di saper rifinire, cesellare, correggere, innovare la propria proposta anche restando ben ancorata al genere che ha eletto a proprio campo di gioco.
Ed i
Meadows End -ovviamente non certo per fare un favore al sottoscritto, mai mi attribuirei tanta importanza!- hanno eliminato praticamente tutte quelle imperfezioni che mi avevano fatto storcere un po' il naso durante l'ascolto di "
Sojourn", realizzando un signor disco.
"
The Grand Antiquation", con le sue 8 tracce per 40 minuti scarsi di durata, suona compatto, immediato, convincente già dal primo ascolto; la band -pur mantenendo le sovrastrutture sinfoniche caratterizzanti il loro sound- ne ha ridimensionato l'importanza dando più spazio al lato melodeath della propria proposta musicale.
Largo quindi ad una sezione ritmica mai così potente ed incalzante, a riff aggressivi e taglienti ma soprattutto ad un songwriting di livello superiore.
Il -anzi, "i"- veri valori aggiunti del disco però sono la prova dietro il microfono di
Johan Brandberg che srotola un growling potente, profondo e senza cali e l'incredibile prestazione del chitarrista
Jan Dahlberg: gli assoli deliziosamente classici dell'opener "
Devilution", della potente "
Storm of Perdition" e della magnifica "
Svept i Sorgepläd" sono da ascoltare e riascoltare.
Così come interessanti sono gli echi del favoloso (ed ovviamente misconosciuto) "
Vendetta" dei finnici Celesty che risuonano tra le note di "
Non-dreaming eye", tra i suoi duetti tra synth e chitarre affilate.
L'album non soffre di alcun calo, nemmeno quando rallenta durante "
The Insignificance of Man" che, grazie all'inserimento di cori femminili che contrastano la durezza del growl risulta inquietante e drammatica.
"
The Grand Antiquation" è un disco che merita attenzione e se band come Arch Enemy ed In Flames stanno facendo di tutto per condannare a morte il melodic death metal, sono gruppi come i
Meadows End che -con convinzione e passione- tolgono i chiodi dalla bara uno dopo l'altro.
Meadows End - "
Svept i sorgepläd"
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