Copertina 7

Info

Anno di uscita:2019
Durata:49 min.
Etichetta:Scarlet Records

Tracklist

  1. THE COLDEST YEAR
  2. THE MOVING EMPIRE
  3. HAGAKURE'S WAY
  4. ÓDAUðLEGUR
  5. THE GREAT RUN
  6. KIA KAHA
  7. BABA JAGA
  8. SHAHRAZĀD
  9. HOMELAND
  10. THE FIRST SIGHT OF A BLIND MAN

Line up

  • Samuele Faulisi: vocals, guitars, keyboards
  • Riccardo Floridia: drums
  • Louie Raphael: bass
  • Fabrizio Tartarini: guitars

Voto medio utenti

Quesito: può una recensione composta pressoché esclusivamente da critiche condurre ad un giudizio complessivo addirittura discreto?
Risposta: presumo di sì, dal momento che è proprio ciò che mi accingo a fare.
Eccoci dunque, senza cincischiamenti ulteriori: a “Tales of a Pathfinder”, secondo full length degli Atlas Pain, vanno a mio umile avviso ascritte svariate problematiche:

Sviluppo del concept
L’idea di una spedizione alla Jules Verne in salsa steampunk, in cui i protagonisti viaggiano nel tempo e nello spazio per entrare in contatto con antiche civiltà, leggende obliate e popoli ignoti, sino all’approdo in un nuovo mondo, era ambiziosa ed interessante.
Peccato che le buone premesse sotto il profilo dell’impianto lirico vengano parzialmente dissipate dal punto di vista musicale, ove non si rinviene che vaga corrispondenza con quanto accade a livello di trama.
Che so, il ricorso a qualche bizzarro strumento tradizionale dell’epoca, la comparsata di guests provenienti dalle terre descritte in quel particolare brano, l’elaborazione di arrangiamenti riconducibili al luogo di volta in volta preso in esame… spunti che avrebbero contribuito all’irrobustimento di un concept che, invece, rimane quasi esclusivamente testuale.

Identità musicale
Il combo italico, perlomeno alle mie orecchie lesionate dall’obsolescenza, suona come un gruppo pagan che vorrebbe tanto saltar la staccionata ed entrare nel colorato reame del power.
Troppo spesso sembra di sentire gli Ensiferum che coverizzano gli Avantasia, il che rischia di ingenerare malcontento presso entrambe le fazioni coinvolte. Traduzione: i fans del viking storceranno la bocca di fronte all'eccessiva zuccherosità (scusate il neologismo) della proposta, mentre i metallers più happy oriented andranno a cozzare contro ritornelli in growling colpevoli di dissipare l’enfasi drammatica delle linee vocali (i cori in appoggio aiutano, ma non risolvono il problema).
Per quanto mi riguarda, urge un chiarimento a livello di coordinate stilistiche.

Scelte di sound
Ce n’eravamo già accorti in occasione del debut, ed il discorso non cambia in questa sede: gli Atlas Pain prediligono produzioni tanto perfette sotto il profilo formale quanto plasticose al risvolto pratico. A tale scelta, visto il genere, si può accordare diritto di cittadinanza, e d’altro canto pare che solo a noi matusa brontoloni di Metal.it non garbino i suoni artificialmente pompati d’oggidì.
Nondimeno, a me resta l’intima convinzione che una cotale morbidezza sgonfi non poco il fattore genuinità, oltre a rendere pressoché innocui le ritmiche ed i riff teoricamente più aggressivi (si senta in proposito la pur bella “The Moving Empire”, galoppata pagan folk alla Finntroll la cui carica battagliera rimane monca a causa dei suoni, o ancora “The Great Run”, che annovera alcuni arrangiamenti degni della sigla di Dragon Ball).

Songwriting
I Nostri ci sanno fare eccome, ed in “Tales of a Pathfinder” non mancano momenti di valore (“Kia Kaha” su tutte), gustose melodie di chitarra (la pur prolissa “Homeland”), chorus ben congegnati (in primisHagakure’s Way”, sebbene mi ricordi nientepopodimeno che quello de “L’Isola di Wight” dei Dik Dik)… al tempo stesso, dopo numerosi ascolti non riesco ancora a rintracciare una hit in grado di elevarsi sopra la concorrenza, così come non rinvengo quella progressione complessiva che sarebbe stato lecito attendersi rispetto al precedente “What the Oak Left”.

Una gragnuola di critiche e comunque un bel 7 in pagella, proprio come si diceva in premessa.
Questo perché gli Atlas Pain possiedono un talento non comune, sebbene non ancora espresso appieno.
Chissà che, come vuole il cliché, non sia proprio il famigerato terzo album quello della proverbiale svolta…
Attendiamo fiduciosi al varco.
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

Ultime opinioni dei lettori

Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?

Ultimi commenti dei lettori

Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?
Queste informazioni possono essere state inserite da utenti in maniera non controllata. Lo staff di Metal.it non si assume alcuna responsabilità riguardante la loro validità o correttezza.