Il binomio rappresentato da romanzi fantasy e power metal ha sempre funzionato ottimamente, sin dai primi anni ’90, si pensi ad esempio ai
Blind Guardian dell’intramontabile “
Tales From The Twilight World” che trovarono la loro fonte di ispirazione in opere come “Il Signore Degli Anelli”. Tuttavia, negli ultimi tempi parecchie band symphonic-melodic-power hanno saputo attingere in maniera sapiente e abbondante da una saga in particolare, ovvero quella intitolata “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, meglio conosciuta come “Il Trono Di Spade” (in lingua originale, “Game Of Thrones”), divenuta poi anche un’appassionante serie televisiva, da cui moltissime formazioni metal hanno preso spunto per il song-writing delle lyrics dei propri album, è questo il caso di “
Kingslayer”, ultimo album degli “
Almanac” di
Victor Smolski (ex chitarrista dei “
Rage”), dei “
Seven Kingdoms” (che addirittura devono il loro monicker alla famosa saga) e del nuovo disco degli svedesi
Bloodbound intitolato “
Rise Of The Dragon Empire”. Questi ultimi in particolare, da quando hanno iniziato a trovare nuovi stimoli nei romanzi di George R.R. Martin, sono tornati a sfornare lavori ispirati come non accadeva dai primi tre album in studio, risalenti oramai a più di un decennio addietro. Difatti, ripercorrendo brevemente la carriera del combo di Bolinas, dopo il deludente e piatto “
In The Name Of Metal” del 2012, la band ha trovato nuova linfa vitale e freschezza creativa ispirandosi proprio alle principali vicende del suddetto famoso romanzo fantasy. Musicalmente “
Rise Of The Dragon Empire” si può considerare il classico album melodic-power metal, nell'accezione scandinava del termine, si pensi quindi a quella miriade di band connazionali dei
Bloodbound quali “
Insania”, “
Dreamtale”, “
Axenstar”, “
ReinXeed” o “
Dionysus”, le cui principali caratteristiche consistono nell’utilizzo di chitarre sicuramente pesanti, ma altrettanto musicali, in grado di impreziosire le tracce, come avviene, nel caso specifico del disco in questione, per la title-track o per la successiva “
Slayer Of The Kings”, con ritmiche rocciose ed assoli veloci e taglienti, oltre ad essere infarcite di motivi melodici soprattutto di origine celtica (è questo il caso di “
Blackwater Bay” o “
The Warlock’s Trail”), secondo la tradizione nordica. Tali strutture musicali sono poi a loro volta riprese anche dal refrain del cantato e dalle pompose tastiere che tendono a creare atmosfere d’altri tempi, epiche e quasi magiche, mentre la sezione ritmica, per lo più, robusta e sostenuta (come in “
Giants Of Heaven” o “
Balerion”), concede comunque delle pause a corrente alternata, in particolare quando si vuole mettere in evidenza le melodie come nella conclusiva “
Reign Of Fire”, una trionfale ballata di origine spiccatamente nordica, probabilmente vichinga, che chiude le danze di un disco indubbiamente piacevolissimo da ascoltare dall’inizio alla fine.
Non mancano poi ovviamente le influenze degli
Stratovarius, ovvero i maestri del power metal nordeuropeo, in pezzi come “
Skyriders and Stormbringers” soprattutto nelle melodie, ma il tutto viene sviluppato con maggiore epicità, e qui invece i richiami vanno ai primissimi album dei “
Rhapsody Of Fire”.
Insomma, a ben pensarci, niente di particolarmente innovativo, del resto nel corso del tempo, a partire dalla fine degli anni 80, fino ai primi anni 2000, il melodic-power, dopo i due “
Metal Opera Avantasiani”, capolavori che tuttavia lo stesso creatore
Tobias Sammet poi negli anni non è mai riuscito a bissare, ormai ha probabilmente dato il meglio di sé, ma questo non impedisce di dare alla luce dei lavori gradevolissimi e validi come “
Rise Of The Dragon Empire” disco in cui, tutto sembra funzionare alla perfezione, a parte qualche piccolo eccesso melodico, ma tutto sommato, anche quando questo si verifica, i nostri sono poi bravissimi a riportare l’album in carreggiata.