Il mercato discografico attuale sta attraversando un periodo di grande crisi, mal tamponata da un’abbondanza di ristampe, ripescaggi vari e edizioni limitate dei “classici”, che, spesso immotivata, appare perfetta solo per assecondare le necessità “feticistiche” di quella parte di
musicofili non ancora del tutto dispersa tra effimeri profluvi di musica “liquida”.
Una "fotografia",
ahimè, piuttosto deprimente, suffragata da fatti incontestabili, nei confronti della quale, però, bisogna anche porre un’attenzione particolare allo scopo di non fare “
di tutta l’erba un fascio” (
ehm, nemmeno in tempi di rigurgiti destrorsi …
vabbè …).
Ci sono opere che, per il loro elevato valore artistico e pionieristico, “devono” essere scoperte (o riscoperte) e sarebbe veramente ingeneroso confonderle nel marasma di una diffusa scelta commerciale indirizzata a tenere a galla l’asfittica industria del disco del terzo millennio.
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Reliquarium" e "
Infernus, Paradisus et Purgatorium”, i primi due lavori di
Mario Di Donato sotto la denominazione
The Black, sono parte integrante del nobile patrimonio italico in fatto di “arte nera” e la loro riedizione (in un unico
Cd), patrocinata dalla lodevole
Black Widow Records, non può in nessun modo essere trascurata da chi ha a cuore le vicende dell’
heavy-dark-doom.
Attivo fin dagli albori degli anni settanta il chitarrista abruzzese è da considerare un eroe “vero” del settore, e la sua visione artistica, sempre supportata da una profonda componente spirituale, lo rende una di quelle figure imprescindibili dell’intero “movimento”, alimentata da vocazione naturale, prorompente passione e da una fiera determinazione nel perseguimento di un percorso espressivo di certo peculiare, immaginifico e seminale, sebbene abbastanza defilato e lontano dai riflettori.
La scelta di utilizzare il latino come tramite comunicativo con l’astante è un altro elemento a sostegno di un’autenticità e un’originalità pressoché assolute, abilmente sviluppate sull’eredità tramandata da Black Sabbath, Pentagram, Black Widow e dai primi Judas Priest.
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Reliquarium”,
Ep uscito in origine nel 1989, imperniato sulle crisi mistiche, le illusioni e i mali dell’essere umano, ha una storia singolare, che unisce un pizzico di “mistero” all’appassionata “artigianalità” della scena tricolore dell’epoca … concepito per suonare a 45 giri, a causa di un errore di stampa sull’etichetta del
12”, fu ascoltato a 33 giri, accentuando l’effetto “demoniaco” di un suono già assai sperimentale, liturgico e sulfureo.
La ripubblicazione della
label genovese propone entrambe le versioni, in sequenza, affidando all’ascoltatore il compito di decidere se un refuso (magari pilotato dalla mano malandrina di
Beelzebub …), abbia effettivamente contribuito al violento turbamento emotivo profuso da quel leggendario dischetto.
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Infernus, Paradisus et Purgatorium”, del 1990, è, invece, un prodotto leggermente più “convenzionale”, che celebra il capolavoro di
Dante attraverso un tracciato sonoro comunque estremamente penetrante ed evocativo, dominato da una chitarra acida e ossianica e da un cantato altamente drammatico e ieratico.
Inutile aggiungere altro … lascio al “novizio” l’emozione di svelare lentamente il fascino cupo e tenebroso, impreziosito da un alito di fragranze “vintage” (autentiche, a dispetto di tutti quelli che oggi cercano vanamente di riprodurle …), di due tasselli importanti della nostra “storia” musicale, in particolare di quella che, con il suo “sublime del terrore”, non smetterà mai di produrre fruttuose angosce e inquietudini nei nostri animi sempre più indifferenti e distratti.