Rieccoli: sono tornati i
Myrath ovvero, come spesso sono stati soprannominati in passato, i “Symphony X d’Arabia” (sì...so benissimo che sono tunisini, mi riferisco chiaramente alla cultura araba che estende la sua influenza anche nei paesi nordafricani) e lo hanno fatto, come si suol dire, col botto!
Difatti, il nuovo album dei magrebini, intitolato “
Shehili” (altro non è che il nome in arabo, del vento che soffia dal deserto) è un misto di potenza, tecnica, ricercatezza melodica, ritmiche in costante evoluzione ma soprattutto, tantissimo cuore, proprio quest'ultimo aspetto era ciò che, a parere di chi scrive, era mancato nel precedente “Legacy”, disco in cui, forse per togliersi di dosso l’etichetta di "gruppo clone" della band di Michael Romeo, si erano volutamente privilegiate, probabilmente eccessivamente, le folkloristiche melodie orientaleggianti, tipiche del sound della band, a scapito tuttavia della struttura musicale delle varie tracce, che veniva depauperata di tutti quegli elementi classici del prog-power metal. In “
Shehili” invece, tutto è perfettamente equilibrato e funziona alla perfezione, non solo si registra una sorta di ritorno al passato, verso album come “Hope” o “Tales Of The Sand”, e quindi un recupero di quell’aggressività e di quell’aspetto tecnico che sono sempre stati il marchio di fabbrica della band tunisina, tuttavia al tempo stesso, vi è una maggiore cura nella composizione delle melodie, sempre di origine araba chiaramente (costruite con sapienza dalle tastiere sognanti di
Elyes Bouchoucha) che, non sono mai fini a sé stesse, ma si amalgamano alla perfezione con i rocciosi riffs di chitarra del bravissimo
Malek Ben Arbia, e con la robusta sezione ritmica affidata al duo
Anis Jouini (al basso) e
Morgan Berthet (alla batteria), caratterizzata spessissimo da tempi dispari ed in continua progressione, mentre la voce di
Zaher Zorgati si adatta armonicamente ai diversi momenti del disco, essendo potente ma contemporaneamente anche melodica ed espressiva.
Insomma, considerando la qualità di un simile lavoro, forse occorrerebbe un approfondimento “track-by-track”, ma probabilmente si rischierebbe di tediare i nostri lettori quindi cercherò di sintetizzare in poche righe le sensazioni scaturite dopo i primi ascolti di un album che oserei definire geniale. Impossibile rimanere indifferenti e non lasciarsi trasportare dal vento del deserto che, inizia a farsi strada sin dalla breve intro "
Asl" per poi soffiare sempre più forte, man mano che scorrono le varie tracce, da “
Born To Survive”, alla camaleontica “
You’ve Lost Yourself”, pezzo dalle molteplici sfaccettature, intimo e allo stesso tempo aggressivo, passando per la coinvolgente “
Dance” e per la malinconica “
Wicked Dice”. Non c’è un attimo di pausa, melodie arabe dal sapore agrodolce vanno a braccetto con riffs ed assoli di chitarra graffianti e sezione ritmica “a singhiozzo” anche in “
Monster In My Closet” ed in “
No Holding Back”, mentre il “richiamo del deserto” con la sua componente folkloristica si fa sempre più insistente e trova probabilmente il suo apice nella sperimentale e riuscitissima “
Ilili Twili” (il cui cantato iniziale, come il titolo del resto, è in lingua originale, probabilmente un dialetto locale) ed in “
Mersal”, altro pezzo che sembra provenire dalla tradizione popolare tunisina ma, “metallizzato” per l’occasione. Non poteva poi mancare la classica "ballad" dell’album che, nel caso specifico, è rappresentata dalla dolcissima e malinconicissima “
Stardust”, retta da un pianoforte dal suono pulito, in cui effettivamente, sembra di sentire certi vaghi richiami ai pezzi lenti dei Symphony X più recenti. Nelle ultime due potenti ma anche raffinate tracce, ovvero “
Darkness Arise” e la title-track, si ha la sensazione che una manciata di sabbia sollevata dal vento caldo del deserto si infranga improvvisamente sul volto dell’ascoltatore che si lascia cosi piacevolmente stordire e trasportare da un sound unico nel suo genere, caratterizzato da un solidissimo ma fine prog-power dalle irresistibili melodie orientaleggianti.
In conclusione, con “
Shehili” i
Myrath, ridefiniscono nuovamente il proprio stile, caratterizzato sicuramente da elementi derivativi provenienti da bands ispiratrici del calibro di Symphony X (su tutti), Dream Theater e Orphaned Land (questi ultimi per le influenze arabe), ma dotato di una propria indiscutibile personalità ben definita e soprattutto, di un’anima che pulsa e trasmette emozioni forti e profonde.