Difficile, quando si deve affrontare un
album strumentale, improntato sulla chitarra, non pensare che per “capirlo” veramente si dovrebbero possedere particolari nozioni tecniche, atte a cogliere le sfumature e dettagli di una materia apparentemente adatta soprattutto a un pubblico di specialisti.
Non facendo parte di quest’ultima invidiata categoria, posso però affermare, sulla base di una “antica” ammirazione per il genere, che il siracusano
Antonello Giliberto è uno di quei musicisti che riescono a far passare “quasi” in secondo piano la loro straordinaria perizia, costantemente asservita alla pura soddisfazione d’ascolto.
Una peculiarità già palesata nel precedente “
Journey through my memory” e oggi replicata nel nuovo “
The strategy of chaos”, dove la componente gotica e l’influenza della musica classica acquisiscono maggiore peso all’interno di architetture musicali virtuosistiche e tuttavia “comprensibili” e raramente oltremodo “familiari”.
Con la conferma del valente
Dino Fiorenza (
Steve Vai,
Paul Gilbert,
Zakk Wilde,
Yngwie Malmsteen, Metatrone) al basso, il contributo dell'eccellente batterista
Salvo Grasso (Metatrone, Hypersonic, Astralium) e la presenza di
Gabriels (Vivaldi Metal Project) nelle vesti di
special guest alle tastiere, il nostro conduce l’astante in un universo oscuro e “cinematografico”, in cui si materializzano immagini ora maestose e possenti, ora leggiadre e sinistre (interessante l’uso di cori e vocalizzi), in una continua connessione tra
epos, inquietudini ed energia.
Un
metal neoclassico piuttosto denso ed evocativo, dunque, per un albo inaugurato da una scura ed estatica
title-track, sostenuto dall’efferatezza sinfonica di “
Threat and redemption” e impreziosito dalla suggestiva “
Before the battle”, una traccia dal clima “trionfale” parecchio coinvolgente.
Il tocco magico e orchestrale di “
Beata Beatrix the beautiful vision” alimenta atmosfere da colonna sonora, e se “
Artemisia's revenge” è un altro brano gonfio di enfasi e di liturgica tensione espressiva, la bella melodia pianistica con cui si apre e si chiude “
The depths of my soul”, custodisce un pezzo forse eccessivamente orientato all’autocompiacimento di maniera (ottimo, comunque, il lavoro di
Grasso) e non pienamente convincente sotto il profilo emotivo.
Una valutazione da estendere a “
Wrath of the Northmen”, “
Iron shadows in the moon” e a “
Secrets from the past” che ripropongono con diminuita efficacia i temi preponderanti dell’opera, mentre tocca a “
Forgotten mists” e a “
Alone in the empty space” risollevare le sorti del programma in virtù di strutture sonore arcane e ricche di
pathos.
Con il sigillo di una
bonus track (“
Odissea veneziana”) che omaggia il
pop barocco dei Rondò Veneziano (del celebre
Gian Piero Reverberi, da elogiare soprattutto, almeno per quanto mi riguarda, per il lavoro con
De Andrè, Le Orme e New Trolls …), si conclude la prova di un chitarrista sicuramente dotato di una funambolica sapienza e di una qualità ancora più importante … si chiama “anima” e non sempre si coniuga così bene con un elevato tasso tecnico.