I segni dell’invecchiamento più comune sono molti e chiari, come i capelli che (beato chi ce l’ha) diventano bianchi, come il decadimento fisico o semplicemente come il fatto che siano passati ventidue e vent’anni dai tuoi due album preferiti dei
Kampfar (
“Mellom Skogkledde Aaser” e
“Fra Underverdenen”) … Il passare del tempo però non porta con se solo melanconia e tristezza, ma anche saggezza, esperienza e talvolta miglioramenti … quei miglioramenti che sono evidenti, notevoli e benvenuti nella musica dei
Kampfar, da quando nel 2016 con
“Djevelmakt” , hanno deciso di ampliare il proprio sound e di lanciarsi in un qualcosa di più progressivo e moderno, seguendo un percorso logico, ma non stilistico, che personalmente mi ha ricordato molto quello degli
Enslaved. Rispetto alla band di
Ivar e
Grutler però, i
Kampfar sono più epici e meno progressivi, più sentimentali e di “pancia” ma meno ”virtuosi”, in definitiva direi che sono più accessibili e con uno spettro evolutivo molto interessante. Ciò che ho più apprezzato di questo nuovo
“Ofidians Manifest”, è la capacità di saper andare avanti senza per questo rinnegare il passato, basti ascoltare
“Ophidian” , la successiva
“Dominans” o
“Eremitt”, songs che racchiudono tutta la voglia di nuovo che c’è nella band, con cori che si alternano a clean vocals (molto a la
Primordial) per poi passare a vocalizzi più sinistri e teatrali, vagamente a la
Gloomy Grim, per finire nell’incorporare epiche declamazioni, in un turbinio di emozioni che finiscono per penetrare completamente l’anima dell’ascoltatore che si perde in queste suggestive emozioni/atmosfere. Sono molteplici e tuttavia sfuggenti i punti di riferimento della band, tanto che delle volte sembra di trovarsi di fronte ad una sorta di
Amorphis che fanno il verso ai
Bathory senza dimenticarsi di essere stati dei discepoli di
Windir … I “nuovi”
Kampfar sono una band matura, in totale fiducia e cosciente dei propri mezzi, altrimenti non si spiegherebbe come riescano a passare dalla nera litania di
“Natt” all’epicità vichinga della stupenda conclusiva
“Det Sorte” , con un semplicità disarmante e con una logica eterogenea che appartiene solo ai grandi gruppi … I
Kampfar non sono mai stati un gruppo troppo stereotipato, ma ora possiamo certamente affermare che hanno completamente trovato la loro personalità e un loro sound ancora una volta distinguibile, evolvendo le radici black-folk in maniera, coerente e credibile … crescere non è poi così male …
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