Attenzione! Questo disco potrebbe scatenare ulcere nello stomaco degli appassionati e oltranzisti fan del black metal.
Perché i
Darkthrone sono tornati con il nuovo album che batte il sentiero percorso dagli ultimi dischi.
Nonostante le sterili polemiche sul presunto “tradimento” per questa svolta a u, non si può dire che
Gylve “Fenriz” Nagell e
Ted “Nocturno Culto” Skjellum non siano coerenti col percorso iniziato; ovvero il recupero delle origini del black metal e della genuinità, sfrontatezza, irruenza melodica dell’heavy metal ottantiano.
L’opener “
I muffle your inner choir”, é un solido up tempo con dei riffing alla
Celtic Frost e la voce in scream messa in secondo piano rispetto alla musica.
Brano dall’impatto gustoso con un bel mid tempo pesante, sulfureo in odore di black metal delle origini a dare un tocco in più.
Ma é col singolo “
The hardship of the scots”, che il duo tira fuori un mid tempo che profuma di heavy metal purissimo.
Sentitevi quelle chitarre grattuggiose, e con un’apertura doom che sfocia poi in una cavalcata dal taglio molto N.w.o.b.h.m.
La titletrack personalmente è il brano forse più debolino del disco; mid tempo dal riffing quasi epicheggiante e con qualche reminiscenza drammatica.
Il brano è scorrevole, ma mi sarei aspettato un brano più incisivo, anche se non è privo di una certa forza evocativa.
“
Duke of gloat” é una sferragliante e veloce corsa nel puro metal estremo ottantiano.
Grandi le chitarre che graffiano con un brano dal taglio malsano e sporco con un bel marchio caro al
Tom G. Warrior dei tempi belli; la voce é aggressiva, sporca ma molto comprensibile.
Ad aumentare la tensione metallica della composizione un bel mid tempo dal riffing inconfondibilmente nerissimo in crescendo.
“
The key is inside the wall”, chiude il tutto con un brano dal riffing pieno, possente e doomy.
Marcia lenta, catacombale ed epica con un’accelerazione aggressiva in up tempo; le chitarre sono gustose e grattuggiose dal riff dal sapore ottantiano soprattutto nel solo, il brano prende una piega più heavy e venomiana.
Un disco che conferma la strada scelta dai nostri, un album che creerà il solito vespaio ma che personalmente promuovo a pieni voti perché qui non si scopiazza il metal anni 80 per mancanza di idee; qui c’è tanto amore e riscoperta di un certo spirito perduto; applausi.